Pubblichiamo qui di seguito un articolo tratto dal blog di Andrea Segre, nel quale si narra delle disumane condizioni di vita quotidiane di un gruppo di circa 150 persone. Si tratta di richiedenti asilo di origine afghana e pakistana in attesa di essere convocati dalla Commissione.
di Andrea Segre
In una dei capoluoghi di provincia del civile Friuli, Gorizia, si è consumata ieri una giornata di “ordinaria” vergogna. Ordinaria perché in città è considerato normale non solo che circa 150 esseri umani vivano come animali lungo le sponde del fiume Isonzo, ma anche che siano in oggettivo rischio di vita dopo 48 ore di piogge ininterrotte che fanno alzare il livello del fiume ben oltre il livello di guardia. Ma ricostruiamo con calma il quadro. A cinque minuti dal certo storico di Gorizia, ricca cittadina mitteleuropea ordinata e spesso semivuota, vicino all’entrata della sua fiera c’è un luogo disumano dove sono abbandonati 160 esseri umani che avrebbero il diritto di protezione.
Sono cittadini di origine afghana e pakistana che hanno fatto richiesta d’asilo alla Prefettura di Gorizia e che sono in attesa di essere convocati dalla Commissione. Questa attesa può durare anche un anno, nel frattempo lo Stato italiano dovrebbe garantire loro condizioni degne di accoglienza essendo loro obbligati per legge a rimanere nel territorio nazionale. Per queste 160 persone ciò non vale e di fatto, da mesi e mesi, sono lasciati a sé stessi e vivono in condizioni inconciliabili con uno stato minimo di civiltà e diritto. Essenzialmente ridotti allo stato animale.
Nella giungla (così la chiamano in città), lungo il fiume Isonzo con tende da campeggio o copertura di fogliami e legna, scaldandosi col fuoco e cucinando con l’acqua stessa del fiume e senza alcun servizio igienico.
L’unico supporto che hanno è affidato ad associazioni anti-razziste (pochi cittadini attivi per la tutela dei diritti) e alla Caritas, in una parrocchia che sta sulla riva opposta del fiume, dove ogni sera tre volontari fanno loro da mangiare e dove possono fare una doccia calda ogni tre quattro giorni a seconda dei turni. Lunedì sera mi trovavo a Gorizia per presentare il mio film “I sogni del lago salato” e avendo sentito parlare di questa situazione ho deciso l’indomani, martedì, di andare a visitare la giungla. Pioveva. Pioveva ininterrottamente da due giorni.
Giuseppe, il gestore del Kinemax, e il suo amico Gigi, hanno accompagnato me e Doula nella giungla, perché anche loro a Gorizia si erano abituati a quella notizia, ma non erano mai stati a vedere.
L’impatto è stato molto duro. Finché leggi le notizie e senti dibattiti tra vari politici locali sulle solite parole d’ordine (“non c’è più spazio”, “non possono venire tutti qui” etc etc) non puoi capire di cosa realmente si sta parlando. Quando poi i con il tuo copro, sotto la pioggia, scendi lungo i sentieri di fango e ti ritrovi sotto le tende gocciolanti a tremare di freddo e tossire per il fumo dei falò accesi in riva al fiume, allora il punto di vista cambia totalmente. Capisci cosa significa vedere tutto ciò con gli occhi di Feizullah, Amin e gli altri: ragazzi di 15, 20, massimo 30 anni che hanno lasciato tutto, sono in fuga da mesi e sperano di avere dalla vita qualcosa di meglio, anche un solo un po’ meglio. E mentre la città che ti sta sopra, a pochi metri, si incontra nei bar, negli uffici, nei supermercati o si protegge dalla pioggia nei salotti e nei Suv luccicanti, tu stai lì su una coperta umida appoggiata a terra a scaldarti le mani con un thè che i ragazzi afghani e pakistani hanno appena cucinato per te.
Pioveva, continuava a piovere.
Gigi e Giuseppe quasi non riuscivano a rimanere per la vergogna e sono corsi a comprare dei calzetti e degli impermeabili nel grande centro commerciale appena sopra la giungla.
Nel frattempo Feizullah, con gli occhi rossi e i piedi congelati “coperti” solo da un paio di sandali infangati, ci ha spiegato con limpida chiarezza cosa li sta succedendo. “Lo Stato italiano ha preso le nostre impronte e ci ha detto di rimanere qui finché la commissione non ci convoca. Ma non ci ha dato un tetto dove stare. Noi siamo disposti ad andare anche in altre città qui vicino se ci danno un posto, ma dobbiamo rimanere vicino a Gorizia perché la commissione è qui“. “Perché avete fatto richiesta d’asilo qui? Perché proprio la commissione di Gorizia?” “Per due motivi, perché il confine è qui e perché qui danno la protezione che in altri luoghi non danno, ma noi a casa non possiamo tornare in nessun caso. Alcuni di noi sono stati respinti dall’Inghilterra, ma non possiamo tornare a casa, rischiamo la vita e comunque abbiamo un patto con le nostre famiglie, non possiamo tornare indietro a mani vuote. Gli esperti della commissione di Gorizia lo sanno e rispettano la nostra condizione. Altri no.” “E quando avrete la protezione cosa fate?” “Molti di noi vogliono andare altrove, in pochi pensano di rimanere” “Quindi se la commissione di Gorizia diventa più cattiva voi ve ne andate?” “Continuiamo a fare richiesta ovunque finché non ce la danno, a casa non possiamo tornare, secondo te perché abbiamo rischiato la vita per arrivare fin qui? Per avventura? Per divertimento? Abbiamo viaggiato via terra e via mare per migliaia di chilometri, visto amici morire e rischiato decine di volte di morire noi stessi, secondo te ora torniamo indietro?”, “Ma forse se sapete che noi siamo cattivi, voi non partite” “Cosa!? Non partiamo perché voi siete cattivi o buoni, partiamo perché è l’unica soluzione per la nostra vita”
Gigi e Giuseppe sono tornati, ma la pioggia continua.
“Da qui vogliamo andarcene, vogliamo un tetto dove stare. Se proviamo a fermarci da qualche altra parte in città la polizia o i vigili arrivano subito e ci dicono di tornare nella giungla. Ma qui non si può stare. Lo vedi il fiume? E’ sempre più alto, sempre più cattivo.” Abbiamo condiviso quella paura e abbiamo detto che l’indomani qualcosa avremmo fatto. “Sono mesi che ogni tanto passa qualcuno, ci fa foto, interviste e poi non cambia nulla”. Non abbiamo fatto nessuna intervista e nessuna promessa. Ce ne siamo andati scambiandoci il numero di telefono e sapendo dentro di noi che rimanere inermi era impossibile. Ha piovuto sempre anche nella notte tra martedì e mercoledì. Alle 10.00 di mercoledì inizio a ricevere telefonate. Feizullah, Amin stanno tremando dalla paura e dal freddo. Non possono più rimanere lì sotto. Dico a loro di scappare, di riunirsi davanti all’entrata della Fiera, che presto li avremmo raggiunti. “Per fare cosa?” “Per avere un tetto caldo dove stare” “Come?” “Protestando insieme.”
Ho chiamato Giuseppe e Gigi, non avevano dormito tutta la notte pensando alla giungla e subito si sono attivati. Abbiamo avvisato Ilaria Ceccot, assessore provinciale che da mesi cerca di cambiare le cose in città scontrandosi con un muro di gomma e razzismo, e i volontari delle associazioni. Tutti hanno iniziato a chiamare la Protezione Civile e i Vigili del Fuoco, ma quando siamo arrivati alla Fiera verso le 11.30 c’erano solo due carabinieri, disorientati e anche perché incapaci di parlare inglese. Nessun corpo di intervento specializzato per un rischio grave di esondazione in zone abitate da 150 esseri umani. Nessuno.
Feizullah e gli altri ci aspettavano, ma erano preoccupati per molti altri che non erano riusciti ad avvisare. C’era un’unica cosa da fare, aspettare il non intervento era inutile, bisognava scendere lungo le rive. Ci siamo divisi in gruppi e, insieme anche ai due volonterosi carabinieri e ad un operatore di MSF, abbiamo iniziato a raggiungere i vari accampamenti.
Tutti erano minacciati dal fiume, alcuni erano stati sommersi. Molti richiedenti asilo non sapevano che fare, erano incerti se lasciare le poche cose che avevano: le tende, le coperte, i pochi vestiti. Nessuno aveva detto loro che il rischio esondazione cresceva di ora in ora, di minuto in minuto. Abbiamo consigliato loro di partire. Quasi tutti hanno capito ed accettato, tranne un gruppetto di 3-4 che non accettavano di lasciare il fiume, perché ormai stanchi di promesse e speranze disattese. “Meglio rischiare qui, che venire con voi per niente”. Difficile da capire, ma in fondo ci rendevamo conto che quella posizione era conseguenza possibile di mesi di marginalità estrema. Non era follia, era totale disperazione. Ma la pioggia d un tratto è diventata torrenziale, insostenibile, i carabinieri sono riusciti a far intervenire i vigili del fuoco, e anche l’ultimo gruppo ci ha seguiti.
Verso le 14 siamo tornati, zuppi di acqua, all’entrata della fiera, dove nel frattempo come nulla fosse si svolgevano i preparativi per l’EXPO Sposa, che la città ospiterà il prossimo week end.
Lì, sotto le campate di cemento della fiera, erano arrivati nel frattempo 2-3 uomini della protezione civile, privi di mezzi, e 3-4 funzionari della questura. Ci hanno guardati e ci hanno chiesto: “Cosa volete fare ora?”. La domanda era assurda, loro avrebbero dovuto trovare una soluzione: c’erano 150 esseri umani in fuga dall’esondazione di un fiume, ma nessuno aveva alcun programma per salvarli e proteggerli. Per fortuna, mentre noi portavamo i richiedenti asilo via dalla giunga, da Roma il Senatore Manconi, Presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, si era mobilitato con determinazione e stava facendo pressioni sul Prefetto per trovare una soluzione.
Ma nel frattempo? Bisognava mettere la città di fronte alle sue responsabilità e portare i nostri corpi bagnati in un luogo sicuro. Così abbiamo deciso di camminare fino alla stazione dei treni.
Alle 14.30 siamo arrivati e ci siamo seduti nella sala d’attesa. Lì saremmo rimasti finché non fosse stata trovata una soluzione accettabile. Alle 15.30 le pressioni nostre, di Manconi e dell’assessore Ceccot hanno portato dei risultati. Il vice prefetto si è presentato in stazione e ha comunicato a tutti noi che tutti i richiedenti asilo sarebbero stati alloggiati nel C.A.R.A di Gradisca.
E’ il Centro Accoglienza Richiedenti Asilo che già ospitav 270 persone, la cui capienza sarebbe stata aumentata grazie all’apertura degli spazi una volta dedicata al C.I.E., il centro di espulsione per migranti illegali, da alcuni mesi chiuso.
La soluzione sapevamo non essere delle migliori, conoscendo la forte somiglianza di quei locali con una prigione e sapendo che sarebbe invece stato possibile alloggiare i richiedenti in una scuola della Provincia di Gorizia vuota ma in ottime condizioni, soluzione rea impossibile dalla resistenza del Sindaco, noto in città per le sue posizioni anti-immigrazione.
Tuttavia le condizioni dei ragazzi afghani e pakistani erano talmente precarie, che anche quella soluzione andava accettata e festeggiata come un netto passo avanti rispetto all’incubo della giungla.
Così la pensavano soprattutto i richiedenti asilo stessi. La stragrande maggioranza era felice di andare al CARA e tutti si sono preparati con ordine al trasferimento.
Alcuni sono tornati velocemente nella giungla per recuperare oggetti lasciati nella fretta (e le immagini del loro ritorno sono state la sera utilizzate in modo scorretto dal TG3 regionale per dimostrare che in realtà volevano tornare lì).
Poi, tra le 17 e le 18, tutti sono stati trasferiti con due pullman.
Li abbiamo seguiti e con Ilaria Ceccot siamo entrati per vedere in che condizioni fossero le stanze dentro all’ex CIE. Lo spettacolo non era certo piacevole, stanze spoglie con letti di ferro circondate da sbarre, ma il viceprefetto e anche Manconi ci hanno garantito che nell’arco di massimo 24 ore le condizioni sarebbe migliorate sensibilmente. Abbiamo spiegato ai richiedenti asilo la situazione e confermato loro i nostri numeri per avvisarci di come le cose si evolveranno nelle prossime ore.
Loro ci hanno ringraziato, ma non era per nulla facile sentirci soddisfatti per aver tamponato in un giorno di emergenza “ordinaria” una grave carenza di civiltà della nostra democrazia.
Infatti è ora che inizia la vera sfida democratica. Come ci ha spiegato Feizullah e come il mondo ormai dovrebbe aver capito (?), non è vero che se siamo cattivi loro non arrivano, cercano altre strade, passano da altri luoghi, ma comunque si muovono e, non avendo nulla da perdere, provano di tutto di più. Nulla da perdere. Questo è ciò che la nostra società fa enorme fatica a capire. Noi abbiamo ormai talmente tanto che biologicamente non capiamo cosa significhi non avere nulla. Solo entrando nella giungla o comunque conoscendo direttamente le persone in viaggio, possiamo iniziare a intuire qual è la realtà del fenomeno.
Quello che io penso è che la nostra società non può permettersi di schiacciare la dignità di persone che non hanno nulla da perdere, riducendole ad animali, anzi a meno di animali, perché se ieri sulle rive dell’Isonzo a rischiare la vita erano delle mucche o dei cavalli di un qualsiasi allevamento privato, la protezione civile sarebbe intervenuta con grande solerzia. Questa è la realtà.
Se nulla cambia a Gorizia, la giungla si ripopolerà molto a breve e l’Isonzo tornerà ad avere il potere assoluto di decidere della vita o della morte di uomini spogliati di qualsiasi diritto.
Chiudo quindi con una domanda: cosa vuole fare ora lo Stato, la Regione Friuli e il Comune di Gorizia per evitare di macchiarsi non solo di vergogna “ordinaria”, ma soprattutto di crimini contro l’umanità?