Daisy Osakue, la giovane discobola nera della Nazionale azzurra, colpita lo scorso 30 luglio a un occhio da un uovo lanciato da tre giovani a bordo di un furgone (noi ne abbiamo parlato nell’ultimo Focus n. 6 curato da Lunaria, “Un’estate all’insegna del razzismo”), dopo la denuncia dell’aggressione, è stata presa di mira e fatta oggetto di insulti razzisti da numerosi utenti dei social network. Le bacheche dei suoi profili (Facebook, Twitter e Instagram) sono diventate una piazza pubblica per una lunga serie di insulti, alcuni dei quali irripetibili, non solo nei suoi confronti, ma anche contro suo padre. «Devi tornartene al tuo Paese», «Non meriti di indossare la maglia azzurra», «Tu non sei italiana», «Sei solo una negra di m….», «Figlia di un pappone» «Fai un favore a tutti… togliti la maglia azzurra da dosso… non rappresenti i valori di questo paese… dimenticavo salutami quel lurido bastardo di tuo padre».
L’ondata di ostilità riversatasi contro Daisy immediatamente dopo l’aggressione subita a Moncalieri, e la relativa campagna mediatica volta a smontare la matrice razzista dell’atto, è durata oltre un mese e si è fermata solo quando l’atleta ha deciso di chiudere per un periodo i suoi profili social. La scorsa settimana, l’avvocato di Daisy ha depositato in Procura, a Torino, due querele: una a nome della giovane atleta e l’altra in nome di suo padre. Nel fascicolo relativo a Daisy sono elencati 120 utenti dei vari social (alcuni con nome e cognome, altri solo con il nickname), mentre gli insulti allegati alla querela sono circa 150. Per suo padre, invece, sono 50 gli utenti menzionati che rischiano di essere indagati. I reati ipotizzati sono: violenza privata, diffamazione “aggravata dall’odio razziale” e dalla diffusione attraverso i social e “istigazione all’odio razziale”.
A ricevere le due querele, il procuratore capo Armando Spataro, il quale, lo ricordiamo (noi ne abbiamo parlato qui), nei mesi scorsi ha diramato una serie di direttive “per un più efficace contrasto dei reati motivati da ragioni di odio e discriminazione etnico-religiosa”. «È ormai acclarato che l’aggressione non aveva connotati razzisti. Ma le offese non possono passare sotto silenzio. Sono episodi gravissimi che devono essere puniti», ha spiegato l’avvocato di Daisy.
Dunque, se il lancio di uova è stato ridotto ad una “goliardata” negandone la matrice razzista, sarà più difficile tentare di minimizzare e ridurre a “bravata” anche questa enorme quantità di insulti razzisti diffusi online.
Il problema è che in entrambi i casi si tratta di violenza: due forme di aggressione differenti ma al tempo stesso concatenate. E se nel caso della prima, una violenza fisica, spogliata del suo contenuto (forse) razzista, non è vi è stata una condanna netta, ma una banalizzazione del gesto, ecco che si è generata una seconda violenza, quella verbale (che non fa meno male di quella fisica), derivante dalla prima ed, ora, apertamente razzista. Attendiamo gli sviluppi delle indagini della Procura, fiduciosi che, questa volta, sia riconosciuta in modo inequivoco la matrice razzista dei messaggi diffusi online.