Oggi è la Giornata mondiale contro il razzismo. Sono diverse le iniziative messe in campo da associazioni, comitati e dall’Unar, l’Ufficio contro le discriminazioni del Dipartimento per le pari opportunità.
Nel nostro lavoro quotidiano, ogni giorno monitoriamo e segnaliamo all’interno del nostro database i casi di razzismo, dalle violenze fisiche agli insulti, alle discriminazioni istituzionali. Ogni giorno approfondiamo aspetti legati al mondo dell’immigrazione, e riportiamo notizie e informazioni inerenti i cittadini di origine straniera presenti sul territorio nazionale. Oltre a questo, svolgiamo un lavoro di ricerca, in cui analizziamo le politiche messe in campo per quanto riguarda i cittadini di origine straniera presenti sul territorio nazionale (Solo per fare gli esempi più recenti: Libro bianco sul razzismo, I diritti non sono un costo, Costi disumani, Segregare costa). Monitoriamo anche la stampa, e il modo in cui i mezzi di comunicazione di massa trasmettono le notizie che coinvolgono le persone arrivate in Italia da un altro paese.
In occasione della Giornata mondiale contro il razzismo potremmo segnalare le diverse attività previste.
Quello che vediamo nel nostro lavoro quotidiano ci impone però una riflessione che vada oltre la comunicazione di qualche appuntamento.
Quello che da anni constatiamo è un processo di normalizzazione del razzismo.
Negli stadi non accennano a diminuire i cori razzisti, nonostante la presa di posizione di alcuni giocatori.
Nei media continuano a campeggiare titoli stigmatizzanti, parole fortemente discriminatorie e espressioni veicolanti diffidenza e separazione, nonostante esista un codice deontologico per i giornalisti in materia.
Nel lavoro continua a esistere una forte discriminazione, che vede i migranti confinati nei ruoli meno qualificati, nonostante l’accesso al lavoro dovrebbe essere garantito in modo uguale per tutti e tutte.
Ma è nel mondo della politica che si assiste a un inasprimento continuo del razzismo: i toni sono sempre più aggressivi, gli attacchi sempre più forti. Le offese e gli insulti vengono lanciati nei comizi e dai social network. Ma non si tratta solo di quello che viene detto: piuttosto, è indicativo anche quanto viene fatto. Delibere, ordinanze, proposte, sono sempre più volte a limitare l’ingresso dei cittadini di origine straniera nella vita della comunità in cui risiedono, a escluderli da alcuni servizi primari.
Basta ripercorrere le cronache degli ultimi giorni.
A Roma un negozio ha esposto il cartello “vietato l’ingresso agli zingari”.
A Torino sono state espulse delle persone, dopo essere state recluse all’interno del Cie di Corso Brunelleschi.
A Casal Di Principe, in provincia di Caserta, due minorenni hanno aggredito a colpi di casco un loro compagno di scuola di origine nigeriana, a causa della sua provenienza.
In Veneto, tre sindaci del Pd hanno istituito un patto intercittadino per cacciare “accattoni molesti e petulanti”, chiedendo la possibilità di espellerli per tre anni dal territorio italiano.
A Firenze, il Comitato provinciale per l’ordine pubblico ha annunciato pattugliamenti all’interno della stazione di Santa Maria Novella, non per “un problema di sicurezza, ma di accattonaggio molesto, in particolare delle persone di etnia rom”.
A Napoli, circa 250 cittadini rom sono stati cacciati dai residenti del quartiere di Poggioreale, che hanno indirizzato pietre e petardi contro l’insediamento, in seguito dato alle fiamme. La vicenda è stata accompagnata da articoli fortemente discriminatori e stigmatizzanti. Sono solo alcune delle notizie di questa settimana, di questi ultimi cinque giorni.
Gli eventi organizzati dalle varie associazioni sono molti. Meno presente la politica e il mondo istituzionale, se non con dichiarazioni e gesti puramente simbolici. Una Giornata contro il razzismo sotto tono, ma si sa c’è sempre qualcosa di più “rilevante” di cui occuparsi rispetto ai diritti delle persone.
“Sbilanciamo l’Europa”, inserto di quattro pagine in edicola ogni venerdì con Il Manifesto, propone oggi una riflessione dal titolo Mare Monstrum: politiche europee miopi, limiti alla libera circolazione, derive xenofobe, controllo delle frontiere. E, infine, alcune proposte per cambiare rotta.
Perché il cambiamento è possibile: quello che serve è un’assunzione di responsabilità.