Altre 45 persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa. Ha ragione Annamaria Rivera a definirle sul Manifesto di oggi vittime anche dell’indifferenza. Sì perchè il freddo conteggio delle morti che avvengono nel Mediterraneo sta uccidendo anche la nostra capacità di indignarci. E di ribellarci.
Va detto che le istituzioni, nazionali o europee che siano, sono sorde. Da anni. Le denunce, le proposte delle associazioni e dei movimenti, le urla disperate dei familiari delle persone scomparse, non hanno lasciato traccia. Niente. Non c’è ascolto. E, da parte nostra (associazioni, movimenti, enti che prestano accoglienza) non c’è neanche la capacità di ribellarsi. Nel 1989 la morte di Jerry Maslo portò più di 300mila persone in piazza. Oggi centinaia di morti riescono se va bene a ispirare qualche comunicato e qualche dichiarazione alla stampa.
Nel frattempo, di coloro che scampano alla morte e riescono ad arrivare in Italia si occupano in pochi, male e con pochi mezzi. Per non parlare di coloro che evitano di farsi identificare sperando di poter raggiungere presto un paese meglio attrezzato del nostro, abbandonati sistematicamente e volutamente al loro destino.
Ora qualcosa da poter fare insieme ci sarebbe.
Come abbiamo già avuto modo di scrivere, il Consiglio Europeo che si è riunito il 26 e 27 giugno a Bruxelles è tornato ad occuparsi delle politiche su migrazioni e asilo. Su queste da anni, ma con maggiore intensità dall’ottobre scorso, è in corso un gioco delle parti vergognoso quanto inconcludente tra Roma e Bruxelles. E le conclusioni finali non sembrano certo contribuire a fermarlo.
L’evocazione della “trasposizione completa e dell’effettiva attuazione del sistema comune di asilo che dovrebbe garantire le stesse garanzie procedurali e la stessa protezione ai richiedenti asilo in tutta l’Unione”, anche grazie al rafforzamento dell’Easo (Ufficio europeo di sostegno per l’asilo), sembra più un auspicio che una scelta effettiva. Mentre sulla prevenzione e la riduzione dell’immigrazione “irregolare” le idee sono più chiare e restano affidate alle ricette di sempre: intensificazione della cooperazione con i paesi di origine e di transito, efficiente gestione delle frontiere esterne (di cui viene però ribadita la primaria responsabilità dei singoli stati membri), rafforzamento della capacità di intervento dell’agenzia Frontex grazie all’utilizzo del nuovo sistema di sorveglianza Eurosur, istituzione di un sistema europeo delle guardie di frontiera e promozione di una politica comune di rimpatri “efficace”. Quanto alle situazioni di crisi, sono auspicati il rafforzamento dei programmi di protezione regionale, in particolare nel Corno d’Africa, e l’aumento del sostegno a attività di reinsediamento dei profughi siriani.
Il documento licenziato a Bruxelles elude i nodi irrisolti che sono alla base del conflitto tra i paesi del Sud dell’Europa (maggiormente esposti agli arrivi di migranti da paesi terzi) e quelli del Nord, ma anche di una disciplina dell’asilo, disegnata dal Regolamento Dublino III, che sembra fatta apposta per costringere le persone bisognose di protezione a un vero e proprio pellegrinaggio tra un paese europeo e l’altro.
Eppure le cose potrebbero andare in modo diverso a Bruxelles come a Roma.
L’Europa potrebbe attivare canali umanitari per consentire ai profughi e ai richiedenti asilo di trovare protezione senza rischiare la vita in mare. La collaborazione con i paesi terzi che non garantiscono i diritti umani (in primo luogo la Libia) potrebbe essere interrotta. La distribuzione dei Fondi comunitari tra gli stati membri potrebbe essere vincolata alla strutturazione di sistemi nazionali di accoglienza adeguati alla domanda e rispettosi degli standard minimi definiti a livello comunitario. La norma che impone, salvo rare eccezioni, di chiedere asilo nel primo paese di arrivo potrebbe essere cancellata. La “mission” di FRONTEX potrebbe essere non integrata ma cambiata: dalla sorveglianza dei mari e delle frontiere ai fini del “contrasto dell’immigrazione irregolare” ad attività di ricerca e soccorso in mare.
Non possono però essere declinate sull’Europa responsabilità che sono tutte italiane. E’ la Camera dei Deputati ad aver bocciato pochi giorni fa “per mancanza di copertura finanziaria” alcuni articoli della Legge di Delegazione Europea 2013-bis indicanti i criteri di delega al Governo per il recepimento delle direttive UE sull’accoglienza dei richiedenti asilo e sulle procedure in materia di riconoscimento della protezione internazionale. A differenza di paesi come la Germania, la Francia e la Norvegia, l’Italia non è ancora stata in grado di pianificare un sistema di accoglienza coordinato a livello nazionale e capace di far fronte ai diversi bisogni delle persone che chiedono protezione che non sono solo quelli della mera “accoglienza materiale”. Milioni di euro sono stati spesi per l’allestimento e la gestione dei CARA (come quelli di Mineo o di Castelnuovo di Porto), strutture di grandi dimensioni nelle quali le violazioni dei diritti sono all’ordine del giorno.
Non è obbligatorio che le persone soccorse in mare siano condotte tutte in Sicilia: la distribuzione degli sbarchi su più porti dislocati nelle regioni meridionali potrebbe evitare di concentrare nei comuni di un’unica regione la responsabilità dell’accoglienza.
Non è Bruxelles ad essere responsabile dei ritardi con cui vengono esaminate le domande di asilo: il rafforzamento delle commissioni territoriali è urgente ed è Roma che può deciderlo.
La scelta di affidare a una missione militare come Mare Nostrum le attività di soccorso e salvataggio in mare non è l’unica possibile: la stessa attività potrebbe essere svolta, probabilmente con costi minori, da missioni e mezzi civili.
Se in poco tempo riuscissimo a muoverci in tanti e insieme per fare pressione sul Presidente del Consiglio in forme da concordare per indurlo ad adottare almeno alcune di queste proposte, faremmo qualcosa di utile.
Intanto, qualcosa di immediatamente più semplice e di molto concreto si può fare subito. A Roma l’associazione Cittadini del mondo sta raccogliendo beni di vario genere per rendere un po’ più umane le condizioni di vita delle centinaia di persone che si trovano al Selam Palace.
Qui sotto i dettagli su come agire.