Ci sono voluti quattro lunghissimi giorni prima che il sedicenne egiziano, picchiato con feroce violenza da alcuni giovani italiani a colpi di mazze da baseball (ne abbiamo parlato qui), si risvegliasse dal coma farmacologico. Il giovane ha superato i test neurologici e mostra chiari segni di ripresa. Sta meglio, salvo qualche lieve difficoltà motoria. In ogni caso, la prognosi resta ancora riservata.
Lo stesso numero di giorni è stato necessario al Gip di Caltagirone per pronunciarsi sull’accaduto. Non ha convalidato il fermo eseguito dei Carabinieri, non ritenendo sussistente il pericolo di fuga, ma ha emesso un’ordinanza restrittiva nei confronti di Antonino Spitale e i fratelli Giacomo e Davide Severo. I reati contestati sono: tentativo di omicidio e lesioni aggravati dai futili motivi e dalla “discriminazione etnica o razziale” nei confronti di “non appartenenti al paese” di San Cono. Il movente razzista sarebbe provato anche dalle espressioni usate durante la “furibonda” aggressione. “Nel caso in esame – scrive il Gip nel provvedimento – appare chiaro dalle espressioni utilizzate dagli indagati, finalizzate ad allontanare una categoria di soggetti non appartenenti al cosiddetto ‘paese’, dunque extracomunitari, “siete pezzi di m(…), ve ne dovete andare da qua, non dovete più venire nel paese”, nonché alla luce degli stessi futili motivi dell’azione, evidenziano la sussistenza di finalità di discriminazione di sfondo razziale ed etnico, essendo tutte le vittime stranieri”. Intanto, i tre aggressori sono stati trasferiti agli arresti domiciliari, con l’obbligo dell’uso del braccialetto elettronico.
Il Gip spiega che le tre vittime sono state interrogate separatamente ed hanno fornito versioni perfettamente coincidenti e “scevre da contraddizioni”. Il pretesto sarebbe da rinvenire in un presunto danneggiamento di un auto da parte di uno dei minori egiziani, avvenuto qualche giorno prima, ma non constatato dagli inquirenti. Dunque, “un mero pretesto, senza alcun riscontro” concreto, scrive il Gip.
Secondo il giudice, gli accertamenti finora svolti “screditano alla radice” la versione alternativa fornita dagli aggressori che sostengono di essere le “vittime” dell’aggressione: i fratelli Severo si sarebbero fermati per aiutare Spitale circondato da 7-8 stranieri. Uno dei due avrebbe impugnato una pistola che utilizza per giocare a softair per farli fermare, intimando loro di allontanarsi e requisendo le mazze da baseball. “Ma gli egiziani – precisa l’avvocato di parte – erano in possesso di colli di bottiglie e pietre e li hanno aggrediti, e loro si sono difesi. Sono i miei assistiti le vittime”.
Insomma, la “versione alternativa” fornita dagli aggressori non regge. E durante gli interrogatori vi sono state anche forti contraddizioni, oltre che dichiarazioni smentite dai fatti. In particolare, sottolinea il giudice, gli arrestati “hanno sostenuto di non avere colpito nessuno, di non avere visto alcun ferito”. Uno dei fratelli Severo è più volte caduto in contraddizione, arrivando anche a sostenere di avere “solo sfiorato” i minori. Inoltre, il provvedimento evidenzia alcuni punti oscuri dell’accaduto: i giovani italiani, che parlano di aggressione “subita”, non hanno denunciato immediatamente il fatto, anzi al contrario, se ne sono tornati a casa; e ancora, avrebbero dovuto comunque chiamare i soccorsi, anche se il minore finito in coma fosse stato davvero l’aggressore.
Condividendo l’appello di don Dario Curcio, parroco di San Cono, non possiamo non ribadire che qualunque forma di violenza va stigmatizzata e non può essere la risposta immediata e quasi “scontata” a qualunque tipo e forma di malessere, né tantomeno la “soluzione” ai problemi. Resta il peso di un’ennesima violenta aggressione razzista.