“Da novembre l’Europa sarà sempre più protagonista del Mediterraneo”. Lo affermava pochi giorni fa il ministro dell’Interno Angelino Alfano, annunciando il lancio dell’operazione Frontex Plus. Lo scorso 27 agosto, la Commissione europea si è impegnata a rafforzare la presenza dell’Europa nel controllo del Mediterraneo, con il sostegno esplicito di Francia, Germania e Spagna, che si sono dette pronte a collaborare (la Spagna ha assicurato di poter impiegare la Guardia Civil in affiancamento alle forze dell’ordine italiane). Proprio oggi, il Viminale è impegnato in un incontro tecnico con gli esperti dell’agenzia Frontex per analizzare l’idoneità dei mezzi previsti.
Ma in cosa consiste questa operazione, che dovrebbe essere avviata a fine novembre, e che in pochi giorni ha cambiato nome, passando da Frontex Plus
a Triton? Quanto c’è di nuovo rispetto alle misure prese fino ad oggi? E quanta certezza c’è sulle operazioni che dovrebbero essere messe in atto?
Una prima risposta è arrivata dallo stesso direttore di Frontex, Jil Arias, che l’altro ieri in un’audizione all’Europarlamento ha spiegato: “Stiamo discutendo di una nuova operazione congiunta nel Mediterraneo, che si chiamerà Triton, il cui lancio dipenderà sostanzialmente da due condizioni: la disponibilità dei fondi che saranno trasferiti dalla Commissione Ue, e la disponibilità degli Stati membri a partecipare”. L’effettiva messa in campo dell’operazione, quindi, non è ancora sicura. Un aspetto evidenziato da una nota riservata della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, riportata dal quotidiano
Avvenire: “L’Agenzia (Frontex, ndr), in maniera sorprendente, nonostante
avesse già condiviso il piano operativo nel corso dei precedenti incontri,
ha richiesto del tempo per valutare l’impatto della proposta italiana e la
sua realizzabilità [..], soprattutto per quanto riguarda l’area di pattugliamento, gli assetti da impiegare, i relativi costi e la partecipazione degli Stati membri; la Commissione, analogamente, dopo aver rappresentato la disponibilità di risorse finanziarie emergenziali, si è riservata di verificare la possibilità di disporre dei suddetti finanziamenti”. L’esito di queste riflessioni è contenuto nel documento
inviato al governo italiano due giorni fa, Concept of reinforced joint operation tackling the migratory flows towards Italy: JO EPN-Triton.Un documento che chiarisce – se ce ne fosse ancora bisogno – la posizione assunta dall’Europa in materia di immigrazione. Già dal sottotitolo: “To better control irregular migration and contribute to SAR in the Meditarranean sea”, laddove SAR significa Search And Rescue, e si riferisce al controllo e al salvataggio di vite. Un aspetto che in realtà resta perennemente in secondo piano in tutto il documento, e quando menzionato si pone sempre come un contributo europeo agli obblighi nazionali in tal senso.
Il documento delinea Triton come un rinforzo di Hermes, operazione lanciata sin dal 2007 e rifinanziata negli anni successivi, finalizzata a controllare e combattere
l’immigrazione irregolare proveniente da Algeria, Egitto, Grecia, Libia e Tunisia. Nel concreto, il “rinforzo” consisterà nel dislocamento di due aerei, un elicottero, due motonavi, due imbarcazioni leggere, sette team di esperti dell’agenzia europea, per una spesa totale di 2.300.000 euro al mese: misure che non andranno a sostituire Mare Nostrum, perché le due operazioni hanno differenti obiettivi. A scanso di equivoci, nel documento viene ripetuto diverse volte che la finalità di Hermes, futuro Triton, è il controllo delle frontiere, e non il soccorso delle persone. Questo, nonostante naturalmente l’Europa sia pienamente consapevole delle pessime condizioni di vita vigenti nei paesi da cui fuggono i migranti, in prevalenza eritrei (16 587), seguiti da siriani (12 081), maliani (3 294) e nigeriani (2 822) (dati relativi al periodo dal 1 gennaio al 15 agosto 2014).
L’Europa non sembra dunque intenzionata a portare avanti “l’immenso avoro fatto dall’Italia con l’operazione Mare Nostrum salvando migliaia di persone”, come dichiarava la commissaria Ue Cecilia Malmstrom pochi giorni fa. Anzi: il documento dell’Agenzia sottolinea come le navi dell’operazione Mare Nostrum abbiano potuto incoraggiare l’arrivo di migranti.
La soluzione? Secondo le linee guida del documento, consisterebbe nel limitare
l’area di intervento dell’Unione: i mezzi navali di Triton si fermeranno a 30 miglia dalle coste italiane, cioè oltre 100-140 miglia più a nord dell’attuale pattugliamento condotto da Mare Nostrum. Solo i mezzi aerei si spingeranno più a sud, potendo così fornire informazioni sulle barche eventualmente avvistate. A chi? Ai mezzi di Mare Nostrum. Sempre che ci siano. Perchè L’Unione Europea chiarisce, nelle parole di Malmostrom, che “spetterà all’Italia decidere che fine farà Mare Nostrum”, anche perché, come specificato da Arias, “la nuova operazione non sostituirà Mare Nostrum, perché non consentito né dal mandato né dalla disponibilità delle risorse”.
Nessun accenno a come portare avanti a livello comunitario “l’immenso lavoro fatto dall’Italia”. O meglio: nel documento si legge che se l’operazione Mare Nostrum non proseguirà, Frontex, oltre a estendere l’area operativa di Hermes 2014 (Triton), dovrà considerare a chi demandare il salvataggio delle vite umane. In nessuna altra parte del documento viene menzionata la necessità di salvare vite. In nessun incontro istituzionale sono state ipotizzate misure per consentire alle persone che scappano da zone di elevata insicurezza – come specifica il documento dell’Agenzia- di accedere alla protezione internazionale in un modo sicuro, ossia di godere del diritto all’asilo e alla protezione, ad esempio attraverso l’apertura di canali umanitari.
Secondo i dati forniti dall’UNHCR, sarebbero 1500 le persone morte o
disperse, da giugno a agosto, nel Mar Mediterraneo.