Un altro muro si staglia all’interno di un’Europa sempre più divisa. E’ stato infatti ultimato il “Great Wall”, il grande muro costruito a Calais, sollecitato dal Regno Unito con l’obiettivo di impedire ai migranti di passare dalla città francese alla Gran Bretagna.
La costruzione del muro si inserisce in quello che il governo inglese ha definito, nell’annuncio diffuso lo scorso settembre dal sottosegretario per l’immigrazione Robert Goodwill, un ‘pacchetto di misure di sicurezza’ da 17 milioni di sterline (su cui Regno Unito e Francia hanno raggiunto un accordo lo scorso marzo).
Nelle intenzioni del Regno Unito, il muro servirebbe a bloccare l’accesso al porto di Calais alle persone che provano a raggiungere l’Inghilterra utilizzando i camion e i treni che viaggiano attraverso il Canale della Manica – e rischiando la vita nel tentativo.
Un cantiere durato tre mesi, per una barriera alta quattro metri e lunga un chilometro: un muro in cemento armato, dotato di telecamere di sorveglianza e circondato da una recinzione in ferro e filo spinato. La parte visibile alle automobili che viaggiano in autostrada è stata coperta di piante, forse in un assurdo tentativo di rendere la barriera più ‘accettabile’. Il tutto finanziato dal governo britannico, per una spesa complessiva di 2,7 milioni di euro.
“E’ una presa in giro” ha commentato al quotidiano The Indipendent Tina Brocklebank dell’associazione britannica Help Refugees, operante anche a Calais e nei territori limitrofi, dove molte persone si sono concentrate dopo lo sgombero dello scorso 24 ottobre. “Quei soldi sarebbero potuti servire per fornire accoglienza alle persone” ha sottolineato, aggiungendo che “ad oggi, se un migrante viene intercettato nei pressi di Calais viene immediatamente portato nei centri di detenzione: Calais non è un luogo sicuro”.
Dopo la demolizione del campo, molte persone sono state trasferite in nuovi campi predisposti dalle istituzioni francesi, definiti da alcuni minorenni delle ‘prigioni‘, dove si vivrebbe in condizioni di promiscuità e dove sarebbero costretti a lavorare. Inoltre, sono ancora tantissimi i migranti che dormono per strada, in accampamenti di fortuna sorti nelle zone limitrofe.
Due mesi dopo lo sgombero e la distruzione di quello che era stato denominato la “Jungle” di Calais, questo muro rappresenta un altro tassello nella costruzione di una Europa fortificata e profondamente divisa su quello che invece dovrebbe essere uno dei suoi valori fondamentali, ossia la garanzia dei diritti.
La velocità con cui la barriera è stata costruita, e i soldi spesi per realizzarla, sono l’ennesimo paradigma dell’impegno realmente assunto dagli stati membri: impedire l’accesso dei migranti sul suolo nazionale. Una posizione che si fa ancora più esplicita a fronte del mancato rispetto dell’unica misura sulla quale gli stati membri avevano raggiunto un accordo, ossia il ricollocamento di 160.000 persone all’interno del territorio europeo: un impegno assunto nell’estate del 2015, e mai rispettato, dato che a luglio scorso erano poco più di 3000 (e cioè meno del 2% del totale) i richiedenti asilo inseriti nel programma di relocation ed effettivamente trasferiti.
Serena Chiodo