Amadou Balde, 23 anni, Guinea Bissau. Moussa Kande, 27 anni, Guinea Bissau. Ceesay Aladje, 20 anni, Gambia. Ali Dembele, 30 anni, Mali. Hanno almeno un nome i quattro braccianti morti sabato 4 agosto, sulla strada provinciale 105 tra Ascoli Satriano e Castelluccio dei Sauri, nel foggiano, in un tragico scontro con un tir che trasportava pomodori. Quattro i feriti. Tornavano dai campi, compressi nel retro di un furgoncino senza finestre. Sono stati travolti dal tir e quel trasporto improvvisato, un furgone malandato, è diventato una trappola fatale.
Invece, i 12 braccianti morti nell’incidente di ieri, sulla statale 16, al bivio per Ripalta, vicino Lesina e ai confini con Termoli, sempre nel foggiano, non avevano alcun documento ed erano anche loro tutti cittadini stranieri. “Loro” un nome non ce l’hanno. I loro nomi restano accartocciati nelle lamiere. I feriti sono tre. Anche loro di ritorno da una delle tante assolate giornate di lavoro nelle campagne, stipati in un furgone.
L’incidente fa registrare le stesse modalità e le stesse circostanze dello scontro avvenuto sabato scorso. Una strage. In soli due giorni, sono morti 16 braccianti stranieri. “Questa povera gente ha avuto problemi anche per trovare posto in ospedale. Sono dovuto intervenire personalmente per far sì che venissero trovati posti sia a Foggia che in altri ospedali della provincia”, ha dichiarato all’Ansa il procuratore della Repubblica di Foggia, Ludovico Vaccaro. Ma c’è dell’altro. E lo denuncia il sito Fanpage.it:“L’ultimo corpo è stato caricato, per essere portato in obitorio, a mezzanotte passata da dieci minuti, cioè 9 ore e 10 minuti dopo l’incidente. Prima quei corpi erano distesi per strada. Una volta recuperati dal furgone sono rimasti posizionati sull’asfalto rovente con un lenzuolo bianco sopra; come sul letto di casa, però al contrario e senza letto. Il riconoscimento è stato fatto per strada, non all’obitorio, una pratica assolutamente estranea alla prassi. Così, pure le foto”. Un giornalista sul posto ha chiesto se per caso quelli fossero “morti di serie B” e gli hanno risposto che no, quelli erano “morti di serie Z”.
E si riaccendono magicamente i riflettori sul fenomeno del caporalato. E ogni volta per ottenere questo risultato c’è bisogno che ci sia del sangue versato (come in occasione dell’omicidio di Soumalia Sacko). Ora, anche il Governo ha fatto ampi proclami dichiarando di voler implementare i controlli e inasprire la legge. Il problema è che il “caporalato” è una entità astratta, dietro la quale si celano ben realtà molto concrete.
Il problema non è il “caporale”, ultimo anello dell’economia dello sfruttamento: il problema sta in un sistema di Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che sovrasta tutti e impone delle logiche disumane alla filiera agroalimentare, figlia delle logiche del profitto (per un approfondimento su questi perversi meccanismi clicca qui).
Circa un mese fa, veniva presentato il Rapporto Agromafie e Caporalato condotto per il quarto anno consecutivo dall’Osservatorio Placido Rizzotto Flai Cgil. Eppure i dati presentati hanno scosso ben poco sia la stampa che i politici. Numeri lasciati lì sulla carta. Senza molta attenzione. Eppure si denunciavano le condizioni sconfortanti dei lavoratori e delle lavoratrici: «Circa 400 mila sono coloro che potenzialmente trovano un impiego tramite i caporali». All’interno di questo campione, circa 100 mila (prevalentemente stranieri) sono costretti «a subire forme di ricatto lavorativo e a vivere in condizioni fatiscenti». Senza dimenticare la quota di reddito sottratta dai caporali ai lavoratori, che in media percepiscono un salario che oscilla tra i 25 e i 30 euro, per una media di 10-12 ore di lavoro. Nei casi più gravi di sfruttamento analizzati, alcuni lavoratori migranti percepivano un salario di 1 euro l’ora. Solo per citare alcuni dati, che sono ben noti, da tempo.
Domani, mercoledì 8 agosto, si terrà una marcia, che prenderà il via alle 8 del mattino da Torretta Antonacci (ex ghetto di Rignano), nel comune di San Severo, e si concluderà davanti alla prefettura di Foggia: la “marcia dei berretti rossi“, l’hanno ribattezzata i promotori, come i cappellini che i quattro braccianti agricoli morti nell’incidente stradale e i quattro feriti indossavano nei campi per proteggersi dal sole cocente. Lo rende noto un comunicato dell’Unione sindacale di Base che ha tenuto una assemblea, alla quale hanno partecipato centinaia di braccianti delle campagne del Foggiano, nell’ex ghetto di Rignano.
Anche i sindacati Flai Cgil, Fai Cisl, Uila Uil di Foggia scenderanno in piazza, sempre mercoledì 8 agosto, a Foggia, con un corteo che partirà alle 18,30 dal piazzale della Stazione e proseguirà fino a piazza Cesare Battisti, dinanzi al teatro Giordano dove si terranno gli interventi a chiusura della manifestazione. Al corteo, hanno aderito numerose associazioni di Capitanata tra cui Arci, Acli e Libera e anche il sindacato unitario dei giornalisti. Fnsi e Assostampa Puglia invitano tutti i colleghi a tenere sempre alta l’attenzione sulle vicende che riguardano lo sfruttamento del lavoro, illuminando quelle periferie – come i campi della Capitanata e il risorto Gran Ghetto – dove il rispetto della dignità dei lavoratori, la tutela dei più fragili e le pur recenti norme di contrasto al caporalato vengono troppo spesse ignorate.
Dolore e rabbia sono state espressi dal presidente della Regione, Emiliano, che ha detto cose importanti: “Erano tutti straordinari lavoratori meravigliose, oneste persone come le quattro vittime dell’incidente, tremendamente simile, di pochi giorni fa. Ho più volte sollecitato i governi succedutisi negli ultimi anni – che hanno la competenza esclusiva per l’ordine e la sicurezza pubblica – a dare attuazione ai protocolli stipulati con la Regione Puglia in sinergia col sindacato, i sindaci, la questura, la prefettura”.
E ha aggiunto: “Le risorse per garantire un trasporto più sicuro dei lavoratori dell’agricoltura ci sono, le ha stanziate proprio la Regione Puglia. Ma per predisporre un servizio di trasporto pubblico è necessaria la collaborazione delle aziende agricole che, con la massima trasparenza, devono farne richiesta comunicando numero di lavoratori, orari di lavoro, tragitti di percorrenza. Questo non avviene mai, non è mai avvenuto sino ad oggi.” Infatti: “Molte aziende agricole sono soggette nella provincia di Foggia al racket mafioso dei caporali che in caso di predisposizione di mezzi di trasporto da parte delle aziende con il finanziamento pubblico, impediscono a queste ultime di trovare la manodopera che gli è indispensabile per non perdere il prodotto al momento della maturazione”.
E intanto ci si mobilita anche a Castel Volturno. In una nota il Movimento di Lotta ARM IN ARM, Laboratorio politico ISKRA “La Scintilla” Agroaversano e il Sindacato Intercategoriale COBAS, annunciano sempre per mercoledì 8, alle ore 11.00, un presidio per denunciare la morte di un bracciante immigrato alla stazione di Caserta. Il giovane Narinder Singh, indiano di etnia Sikh, ha perso la vita senza ricevere alcuna solidarietà, sotto gli occhi di tutti, dopo essersi sentito male sul lavoro ed essere stato letteralmente abbandonato dal suo padrone senza acqua, cibo e assistenza medica.
Le tragiche morti di questi giorni ci interrogano su quale sia il costo della nostra vita e quanto costi, invece, quella degli “altri”: quelli che raccolgono le angurie, le pesche e le arance che giungono sulle nostre tavole, grondanti di sudore e fatica. Lo stordimento mediatico prodotto nell’ultimo periodo dalla fantomatica “emergenza/invasione da sbarchi” ha distolto l’attenzione dai problemi veri. Come questo. E quasi quasi ci convinciamo davvero che la “loro” vita possa valere meno della nostra. Tanto che, nella civile Italia, non è stato proclamato né uno sciopero generale né un lutto nazionale.