Nella serata di mercoledi 21 ottobre, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato il decreto Immigrazione varato il 5 ottobre scorso dal Consiglio dei Ministri (DECRETO-LEGGE 21 ottobre 2020, n. 130 – Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale), che modifica i decreti sicurezza convertiti nella legge 132 del 2018. Il Decreto è anche in Gazzetta ufficiale del 21 ottobre 2020, n. 261, mentre il Parlamento avrà 60 giorni di tempo per convertirlo in legge. Diverse luci e ombre nella nuova legge che riforma i due decreti Immigrazione e Sicurezza voluti da Salvini. Si tratta, su questo fronte delicato, solo di un primo passo.
La normativa, infatti, continua a presentare aspetti insoddisfacenti e a volte contraddittori, e andrebbe adeguata tenendo conto (fatto non nuovo, ndr) della strutturalità del fenomeno migratorio e della necessità di uscire dalla vecchia logica emergenziale, che pure resta salda. I passi in avanti del nuovo decreto immigrazione sono il frutto di un lungo e travagliato braccio di ferro tra le forze di governo. Fra le migliorie apportate (qui, in questo articolo ne abbiamo parlato in modo più ampio e dettagliato), sicuramente, vi è l’introduzione della “protezione speciale”, che restaura di fatto quella umanitaria, cancellata dal decreto Salvini, cui si aggiunge la possibilità di convertire i permessi di soggiorno attuali in permessi di lavoro. Viene reintrodotta l’iscrizione anagrafica che permetterà alle anagrafi comunali di rilasciare un documento di identità valido tre anni. Si reinserisce la possibilità di una accoglienza diffusa sul territorio, che non si chiama più Sprar/Siproimi ma SAI (Sistema di accoglienza e integrazione), e che prevede la reintroduzione di una serie di servizi di primo livello per i richiedenti protezione internazionale (quali l’accoglienza materiale, l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, i corsi di lingua italiana, e i servizi di orientamento legale e al territorio). Tutte voci cancellate dall’ex ministro Salvini. Rispetto al testo diffuso il 5 ottobre, ci sono alcune modifiche sostanziali che riguardano l’articolo 15 sulle disposizioni transitorie. Le modifiche prevedono che l’articolo 1 del decreto si applichi anche ai procedimenti pendenti davanti alle Commissioni territoriali, al Questore e alle Sezioni specializzate dei Tribunali, alla data di entrata in vigore del decreto. Una modifica giunta anche grazie alle pressioni fatte da numerose associazioni, che pure chiedono ancora che altre modifiche vengano recepite.
Rimangono, infatti, come si è fatto rilevare da più fronti nelle ultime due settimane, diverse ombre ancora piuttosto scure che superano di poco o niente i precedenti decreti voluti dall’ex ministro dell’interno. Per le navi soccorso delle ONG, permane il concetto di fondo della criminalizzazione delle attività di soccorso che continuano a essere sanzionate. Alle navi, vengono cancellate le sanzioni amministrative, mentre rimangono quelle penali. Per quel che riguarda il rimpatrio dei migranti nei propri paesi di origine, “non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti” né “qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica”. Ma non viene modificato il concetto di “paese sicuro”. E si norma l’accelerazione delle procedure che le Commissioni territoriali devono mettere in atto per stabilire se il richiedente ha o meno il diritto all’asilo o protezione. Poi, in materia di cittadinanza di coloro che sono nati o risiedono in Italia, prima del decreto Salvini, la legge prevedeva un tempo di attesa di due anni, diventati quattro con la norma precedente, e che ora diventano tre con l’attuale provvedimento (per una disamina più tecnica e giuridica si veda qui il commento dell’Avv. Paolo Cognini di Asgi).
Insomma, come già fatto rilevare anche in numerosi appelli da parte delle associazioni, nessuna rivoluzione e nessuna cancellazione: ci dovremo “accontentare” di questo visti i tempi difficili?