Il Consiglio comunale di Firenze ha chiesto ieri al presidente del Coni Giovanni Malagò e ai presidenti delle Federazioni sportive nazionali di modificare tutti i regolamenti delle discipline sportive, introducendo lo Ius soli. Uno Ius soli che sarebbe solo “sportivo”, e permetterebbe alle Federazioni di considerare italiani a tutti gli effetti i giocatori di origine straniera nati in Italia.
La richiesta del Consiglio arriva dopo la delibera 908/2013 approvata lo scorso 11 novembre, con oggetto, appunto, l’introduzione dello “Ius soli sportivo nei regolamenti delle varie discipline sportive in Italia”. Nel testo si fa riferimento specifico alle “norme innovative e civili introdotte dalla Federazione nazionale hockey su prato”.
La Federazione Italiana Hockey (FIH) ha infatti autonomamente approvato lo Ius soli sportivo, grazie al quale i giocatori nati in Italia da genitori di origine straniera “non saranno più soggetti ad alcuna discriminazione ai fini dell’impiego nei vari campionati”, come si legge sul sito della FIH.
Le discriminazioni cui fa riferimento la Federazione colpiscono davvero molte persone, escluse dall’attività agonistica per questioni puramente burocratiche (ne abbiamo parlato, ad esempio, qui ).
Lo stesso presidente del Coni ha più volte espresso la sua posizione favorevole a un cambiamento normativo: secondo Malagò lo Ius soli “è inevitabile, ormai siamo una società multietnica”.
Quello che non può fare il Coni è intervenire nelle norme delle singole federazioni, che devono decidere autonomamente. Proprio come ha fatto la FIH – che con questa modifica ha visto un netto aumento dei tesserati – seguita dalla Federazione pugilistica italiana, che è riuscita così a permettere l’accesso all’attività agonistica a persone finora relegate esclusivamente all’attività amatoriale, con la partecipazione solo a tornei locali. “Una battaglia di civiltà” l’ha definita il presidente della Fpi Alberto Brasca.
Anche altre federazioni sembrano interessate: prima fra tutte quella di atletica leggera. “Venerdì prossimo in Consiglio federale apriremo ai giovani stranieri la possibilità di partecipare ai campionati italiani”, annuncia Alfio Giomi, presidente Fidal, che aggiunge: “In Italia paghiamo le lungaggini burocratiche e la presenza di leggi che non aiutano. Con questa modifica gli atleti potranno vincere il titolo italiano e gli eventuali record sarebbero omologati, ma non potranno vestire la maglia della nazionale. Noi di più non possiamo fare”. E’ da diverso tempo che la Fidal solleva il problema, causato dal fatto che in Italia l’acquisizione della cittadinanza per residenza prevede, per i nati in Italia, che la richiesta possa essere avanzata dopo dieci anni continuativi e solo al compimento del diciottesimo anno d’età: una situazione che esclude tante persone dal gareggiare in nazionale.
Da parte sua, “il Coni si affida alla moral suasion verso il legislatore, in modo che possa diventare presto una legge dello Stato”. Lo affermava Malagò il mese scorso durante la presentazione del libro “Italian cricket club, il gioco dei nuovi italiani” (Giacomo Fasola, Ilario Lombardo e Francesco Moscatelli, App Editore).
La Federazione cricket è stata la prima, dieci anni fa, ad approvare lo Ius soli: nella Nazionale italiana attualmente gli atleti sono tutti “figli dell’immigrazione”. Quando la squadra vinse gli Europei nel 2009, il presidente della FederCricket dedicò il titolo al leader leghista Umberto Bossi: “Dedico il titolo a Bossi perché questa vittoria dimostra che gli stranieri danno anche lustro all’Italia”.
Ancora una volta, lo sport guarda la realtà e anticipa la politica.