Giancarlo Gariglio ha condotto per conto di Slow Wine, la sezione del portale slowfood.it dedicata ai prodotti vitivinicoli, un’inchiesta nelle vigne di Langhe e Monferrato piemontesi, che ha portato alla luce – dice l’autore – la presenza di “schiavi macedoni, assoldati da loro connazionali che agiscono da veri e propri caporali“. L’inchiesta, della durata di un mese circa, racconta un fenomeno diffuso, ma nascosto ai più. Il quadro dipinto è allarmante. I protagonisti sono numerosi cittadini macedoni, reclutati da connazionali senza scrupolo, che offrono un biglietto di andata e ritorno per 70 euro, un alloggio super-affollato per 200 euro al mese, ed un lavoro da vero e proprio schiavo, pagato, nella migliore delle ipotesi, 3 euro l’ora. Di solito, nel periodo caldo, in vigna lavorano le cooperative. Gariglio, però, puntualizza: “La maggioranza dei produttori e delle cooperative agisce secondo le regole e la legge. Abbiamo scoperto, grazie a interviste ai vignaioli, a registrazioni vocali, a fotografie, che questo sistema ha acquisito dimensioni così grandi che è piuttosto frequente la presenza di distorsioni. Ci sono lavoratori sfruttati a tutti gli effetti, percepiscono salari da fame e dipendono da connazionali arrivati prima di loro, che si arricchiscono alle loro spalle sfruttandone le prestazioni”.
Un sistema che rimanda allo sfruttamento di manodopera straniera usata per la raccolta di pomodori in Puglia e in Sicilia, delle arance in Calabria, delle mele in Trentino… ma questa volta al centro c’è un prodotto di eccellenza come il vino piemontese.
Secondo il tariffario regolare, il costo orario ufficiale di un manovale delle cooperative è di 10 euro più Iva per un’ora di lavoro. Ma, in nero, si possono spendere 8 euro. E volendo si può scendere fino a 6. Con una differenza, sempre nel lavoro regolare: se il manovale è macedone, percepisce 6 euro orari, se è esperto, e 4 euro, se invece è alle prime armi. Il lavoro più utilizzato dalle aziende e dalle cooperative è quello a cottimo. “Questa formula- spiega Gariglio- obiettivamente è quella che permette più ampi margini di manovra perché si tratta di un lavoro chiavi in mano, in cui l’azienda vinicola non mette becco, non è tenuta a controllare, non è responsabile di nulla, se non del lavoro finito, e quindi non si preoccupa più di tanto delle condizioni dei lavoratori impiegati. Per questi operai, ad esempio, l’orario prevede anche la fase più calda della giornata, tra le 12 e le 15, che determina numerosi casi di svenimento in vigna. Chi ha un mancamento, viene “gentilmente” rimpatriato e non più richiamato”.
Il risultato è una commistione di “bianco” e “nero”, come la definisce Gariglio, in cui accanto ai listini regolari ne esistono di irregolari, ed accanto alle cooperative regolari è un florilegio di veri e propri caporali, che spesso forniscono manodopera al nero proprio alle stesse cooperative. E, come conclude Gariglio, “se la situazione di schiavitù è così nel basso Piemonte, si può facilmente immaginare cosa accada nel resto d’Italia, magari in regioni in cui il prezzo delle uve e del vino è sensibilmente più basso …”. E pensare che una bottiglia di buon Barolo può arrivare a costare oltre i 200 euro!
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