C’è un nuovo, importante tassello nel quadro che ricostruisce l’omicidio di Emmanuel Chidi Nnadi, il 36enne nigeriano brutalmente ucciso nel centro di Fermo, il 5 luglio scorso, da Amedeo Mancini, un ultras fermano appartenente agli ambienti di estrema destra.
Secondo la perizia dei carabinieri del reparto investigazioni scientifiche di Roma, trasmessa alla Procura di Fermo, non ci sarebbe infatti alcuna traccia del dna della vittima sul palo di ferro che, in base ad alcune testimonianze, Emmanuel Chidi avrebbe utilizzato contro Mancini. Sarebbero invece evidenti le tracce del dna di Amedeo Mancini sul segnale stradale usato per colpire a morte la vittima. Un dato che smentisce quanto dichiarato dai testimoni oculari, secondo i quali sarebbe stata proprio la vittima a colpire per prima Mancini, utilizzando il paletto di ferro.
Ricordiamo che le primissime ricostruzioni parlavano di insulti razzisti rivolti dall’ultras marchigiano alla moglie di Emmanuel Chidi: il cittadino nigeriano avrebbe reagito, e ne sarebbe nata una rissa. L’uomo sarebbe stato picchiato ripetutamente, anche con il palo di un segnale stradale. Ricoverato in condizioni disperate, Emmanuel Chidi Nnadi è morto la sera del 5 luglio (ne abbiamo parlato qui).
Dopo la diffusione dei primi dettagli, si sono susseguite diverse versioni dell’accaduto, avallate o meno da alcune testimonianze: mentre la vedova di Emmanuel Chidi affermava che era stato Mancini ad aggredire fisicamente il marito, dopo aver lanciato contro di lei insulti razzisti, alcuni testimoni dichiaravano che sarebbe stato invece la stessa vittima a attaccare, dopo le offese, l’ultras fermano, colpendolo con un paletto di ferro e iniziando, aiutato dalla moglie, una colluttazione con lo stesso. Secondo quanto riportato a luglio dal Corriere della Sera, la donna avrebbe in seguito ritrattato, confermando le parole dei testimoni. In realtà i legali della donna precisavano allora che la versione dei fatti non era cambiata. Dal brutale omicidio a oggi ci si è trovati quindi di fronte ad una proliferazione di diverse versioni dell’accaduto.
La perizia diffusa dai carabinieri arriva a fare chiarezza: la vittima non avrebbe avuto alcun contatto con il paletto di ferro. Non lo avrebbe brandito, né sarebbe stato colpito dall’oggetto. E’ un documento che va ad aggiungersi al referto dell’autopsia, secondo la quale, prima di essere ucciso con un pugno al volto, il giovane nigeriano avrebbe riportato la rottura di un legamento della gamba sinistra, a causa di un calcio sferrato da dietro dal suo omicida: segno delle ripetute percosse subite dall’uomo.
Le indagini sono ancora in corso, e per mettere un punto alla vicenda si dovrà attendere la fine del processo, che probabilmente non si terrà prima di gennaio. Ma alcuni dati incontrovertibili ci sono già: uno su tutti, il razzismo alla base dell’omicidio di un uomo. E’ proprio con l’accusa di omicidio aggravato da movente razzista che Amedeo Mancini è stato posto agli arresti domiciliari. Un razzismo che, purtroppo, si è esplicitato anche in una campagna mediatica che ha provato a derubricare il grave episodio a “lite” (solo a titolo esemplificativo si veda qui, qui, qui, qui, qui, qui) e che, sottacendo il movente razzista, ha tentato di colpevolizzare la moglie della vittima per aver fornito una versione non in linea con quanto dichiarato dai testimoni (ad esempio si veda qui, qui, qui, qui) e ha enfatizzato l’appartenenza dell’aggressore agli ambienti ultras calcistici, omettendo l’affiliazione a ambienti politici di estrema destra (a titolo di esempio si veda qui, qui).
I consiglieri del Movimento 5 Stelle del Comune di Fermo Marco Mochi e Marco Temperini hanno presentato un‘interrogazione a risposta orale in cui chiedono all’amministrazione “se in caso che a seguito delle indagini in atto si profili uno scenario completamente diverso da quello inizialmente dato per certo, se il Comune abbia intenzione di aprire un contenzioso per richiesta danni all’immagine della città verso chi dovesse essere ritenuto responsabile della strumentalizzazione mediatica del grave fatto; quali siano gli interventi che l’amministrazione intende portare a compimento per favorire l’integrazione e scongiurare episodi simili in futuro; quali siano gli interventi che l’amministrazione intende portare a compimento per ripristinare l’immagine di città accogliente che Fermo ha sempre avuto”. Una interpellanza che Massimo Rossi, consigliere comunale de L’altra Fermo/ Fermo migliore e segretario regionale PRC-SE Marche, ha definito “ignobile”: “La perizia smentisce i testimoni a favore del neofascista fermano autore dell’omicidio. E’ la seconda doccia fredda che nel giro di pochi giorni gela l’inconsueta arroganza mediatica dei difensori dell’omicida e di quell’inquietante coagulo di componenti sociali e politiche cittadine che sin dall’indomani dell’uccisione hanno cercato di negare il carattere razzista dell’episodio e la piena responsabilità dell’assassino”. Rossi inscrive l’interrogazione presentata dai consiglieri del Movimento 5 Stelle in questo binario: “Adombrando anch’essi ‘scenari diversi rispetto a quanto riportato inizialmente dai media, basatisi solamente su una versione parziale degli eventi’ – sottolinea Rossi – sollecitano l’Amministrazione Comunale ‘ad aprire un contenzioso per richiesta danni all’immagine della città verso chi dovesse essere ritenuto responsabile della strumentalizzazione mediatica del grave fatto’”.
Di fronte alla tragicità e gravità di quanto accaduto lo scorso 5 luglio, una scelta del genere sembra esprimere, riprendendo le parole di Rossi, maggior preoccupazione sul presunto “danno di immagine”, che sulla “tragica degenerazione di fenomeni di intolleranza cresciuti impunemente”. Una tendenza questa da non sottovalutare proprio per impedire che fenomeni del genere si moltiplichino.
Serena Chiodo