Nella notte del 12 aprile a Viterbo due giovani militanti di CasaPound, uno dei quali consigliere comunale di Vallerano, hanno violentato per ore, dopo averla presa a pugni, una donna di 36 anni in un circolo privato, riprendendo la violenza sul proprio telefonino. Il consigliere comunale, attivo sui social, avrebbe diffuso in passato manifesti razzisti proprio in tema di violenza sessuale. I due sono stati espulsi da CasaPound e sono stati definiti “balordi” dalla ministra per la difesa. Solo un commento tardivo da parte del ministro dell’Interno, di solito molto più celere in casi analoghi.
A Trieste l’esclusione di atleti africani dagli inviti al Running festival è stata annunciata e poi rettificata nell’arco di 48 ore. Tanto ha retto, di fronte alle molte proteste provenienti dal mondo sportivo e antirazzista, l’espediente evocato dagli organizzatori secondo i quali l’esclusione sarebbe servita a portare l’attenzione sul fenomeno dello sfruttamento degli atleti africani, pagati meno rispetto agli altri. Espediente accettato sbrigativamente da qualche testata eccellente come una dimostrazione evidente dell’assenza di qualsiasi intenzione discriminatoria e razzista. Eppure, il passo indietro compiuto dovrebbe far pensare.
Il 25 aprile il ministro dell’Interno ha disertato le manifestazioni svolte in molte città italiane definendo la festa nazionale della liberazione (dal fascismo e dal nazismo) una festa “divisiva”. L’assenza illustre ha spinto i giornalisti di alcune testate televisive ad avviare un “dibattito” paradossale e farsesco sulla valenza unitaria o meno di questa giornata. Migliaia di persone hanno partecipato alle manifestazioni, molte di più rispetto a quelle degli ultimi anni, anche a Roma.
Il 27 aprile il Prefetto di Prato ha inviato un telex al Viminale con il quale ha annunciato la denuncia dell’Anpi per le frasi pronunciate nel corso della manifestazione svolta il 25 aprile, in cui alcuni attivisti avrebbero chiesto le dimissioni del Prefetto e del Questore e cantato alcune canzoni partigiane (!). Lo stesso Prefetto aveva autorizzato il 23 marzo scorso un raduno nazionale di Forza Nuova in città (circa 150 partecipanti secondo la Questura) contro il quale aveva sfilato un corteo pacifico antifascista di circa 5mila persone.
Sabato 28 aprile il Tg regionale dell’Emilia Romagna ha dedicato un servizio alla commemorazione di Mussolini a Predappio. Il servizio, con tanto di interviste ai militanti presenti e di riprese di saluti fascisti, è andato in onda per due minuti alle 19,30, senza alcuna presa di distanza da parte di chi l’ha girato. L’amministratore delegato della Rai ha chiesto un “approfondimento”. Eppure, c’è chi ritiene legittimo “documentare” quanto succede.
Il 23 aprile Antonio Cosimo Stano, 65 anni, ha perso la vita in ospedale a Manduria. Quello che gli è accaduto è difficile da raccontare. Secondo la polizia, che ha fermato otto giovani (sei minorenni) il 29 aprile, avrebbe subito violenze e torture, in casa e per strada. E c’era, nella cittadina pugliese, chi sapeva da tempo. Perché ancora una volta le violenze sono state documentate e diffuse con il cellulare e sul web.
Fatti “isolati” e scollegati tra loro?
Forse no. Raccontano un paese in cui la perdita del valore della dignità umana si esprime in mille forme e chiunque sia percepito più fragile in un determinato luogo e in un determinato momento, può essere esposto a insulti, soprusi e violenze, anche quelle più feroci. E’ il filo della distinzione, della discriminazione, del disconoscimento a legare i fatti accaduti in questa settimana ai danni di atleti “africani”, di una donna (ancora), di attivisti antifascisti (ancora) e di un anziano in condizioni di fragilità (persino).
Sin quando la sopraffazione e la violenza resteranno le forme di riconoscimento sociale e culturale prevalenti, continueranno ad esprimersi senza freno, colpendo in modo indistinto chiunque sia considerato un bersaglio facile da colpire.
L’umano può facilmente trasformarsi nel disumano. Per evitarlo servono cultura, educazione e politiche che lancino messaggi, ma soprattutto realizzino pratiche, di eguaglianza, pari opportunità e giustizia sociale. Ma serve anche che ciascuno di noi, nessuno escluso, faccia la sua parte indignandosi di fronte a cose inenarrabili come queste.