Il rapporto tra la Commissione europea e i giganti tecnologici non è dei migliori da qualche anno. Facebook, Twitter, Google e compagnia hanno diversi file aperti con Bruxelles e tra questi c’è anche quello del contrasto dell’incitamento all’odio. Dopo anni di critiche, nei giorni scorsi è venuto un plauso verso i colossi che gestiscono le piattaforme social o producono software per condividere informazioni e stati d’animo. Alla quarta valutazione del codice di condotta che Commissione e imprese hanno concordato per contrastare l’hate speech online nel 2016, la Commissione dichiara che si sono fatti dei passi in avanti.
Un primo aspetto positivo è l’adesione al protocollo di nuove piattaforme social e di gioco (Google+, Instagram, Snapchat e Dailymotion) oltre ai quattro colossi (Facebook, Microsoft, Twitter e YouTube) che avevano siglato la prima intesa. Il numero di post e commenti monitorato è dunque cresciuto. Il secondo aspetto riguarda la capacità delle piattaforme di monitorare i contenuti segnalati dagli utenti e cancellarli.
Quanto hanno rimosso i social network?
Nelle sei settimane di monitoraggio del programma, le società informatiche hanno valutato entro le 24 ore dalla segnalazione l’89 % dei contenuti e rimosso il 72 % di quanto controllato.
Nel 2016 le stesse percentuali erano rispettivamente il 40 % e il 28 %. Un bel salto in avanti segno di un aumento delle risorse destinate al controllo. Rispetto al periodo di monitoraggio precedente l’aumento è soltanto del 2%, segno che la macchina del controllo si era già messa in moto. L’anno scorso solo Facebook ha rimosso 2,9 milioni tra foto e commenti razzisti, antisemiti, xenofobi.
Nel periodo preso in considerazione, Facebook ha ricevuto la maggior quantità di notifiche (1882), seguita da Twitter (1314) e YouTube (889). Numeri simili a quelli dei periodi precedenti. Numeri più bassi per Instagram (279) e Google+ (28), che hanno aderito al Codice di condotta all’inizio del 2018. Microsoft non ha ricevuto alcuna notifica.
L’equilibrio tra censura, eccesso di controllo, garanzia della libertà di espressione e monitoraggio efficace dei contenuti che ciascuno di noi può caricare sui social è difficile da stabilire. Quando succede che il censore pagato da Facebook va oltre il suo mandato? E quando chiude un occhio? Non sempre è facile definirlo. Per questo la Commissaria europea per la Giustizia, i consumatori e la parità di genere, Vĕra Jourová, ha elogiato le piattaforme dopo che nel 2016 aveva definito il social network guidato da Mark Zuckenberg “autostrada dell’odio” – dopo aver cancellato il suo account. La Commissione insiste molto anche sul fatto che nessuno vuole il 100% dei contenuti “sospetti” cancellato: nel dubbio meglio lasciare il contenuto.
Interessante notare il trend delle rimozioni: in alcuni Paesi la crescita è costante, in altri c’è una crescita e poi un lieve calo (è il caso dell’Italia). La crescita esponenziale riguarda con ogni evidenza lo sforzo crescente fatto dai social network: ci sono paesi dove si parte subito forte e paesi dove l’attenzione (il monitoraggio, probabilmente il numero di persone messe a fare questo lavoro) era bassa ed è cresciuta con il tempo.
Che cosa hanno rimosso i network?
I post con contenuti xenofobi (odio contro i migranti compreso) è il motivo più comunemente segnalato di incitamento all’odio (17,0%), seguono insulti relativi all’orientamento sessuale (15,6%) e l’odio anti-musulmano (13,0%). Anche ebrei e Rom attirano molto odio. I risultati, che sono in linea con le tendenze registrate durante il monitoraggio precedente, confermano quanto il razzismo contro le minoranze “etniche”, i migranti e i rifugiati sia un problema crescente nella società europea.
Tutto bene dunque? Si e no. I social network sono per certi aspetti stati costretti ad avviare attività di monitoraggio dopo che con il referendum sulla Brexit e l’elezione di Donald Trump si è visto come e quanto essi svolgano un ruolo cruciale nell’influenzare l’opinione pubblica. Resta il fatto che il confine tra hate speech e legittima espressione della propria opinione non è labile, che certe notizie diffuse in maniera furba possono non qualificarsi come incitamento all’odio ma diffondono e alimentano comunque pregiudizi. Quel che i social network hanno creato è un flusso di informazione costante non verificata che svolge un ruolo contraddittorio. Resta, ad esempio, il problema delle fake news e dell’odio che possono alimentare anche quando non vengano accompagnate da commenti razzisti.
Facebook ha promesso che per le prossime elezioni europee non prenderà soldi da organizzazioni che siano liste e partiti. Eppure, per fare un esempio, da mesi sulla piattaforma c’è una pubblicità pagata dal governo ungherese che ha un chiaro contenuto politico e indica una direzione per l’Europa. Le ambiguità restano ed è proprio su queste che una parte dei social giocano per non perdere traffico e pubblicità a pagamento senza incorrere in censure da parte della Commissione. Poi resta il problema delle tasse da pagare, ma questo non ha nulla a che vedere con il razzismo e l’incitamento all’odio.