Cheikh Tidiane Gaye, 41 anni, nato a Thies in Senegal, diplomato in Ragioneria, un’esperienza in Costa d’Avorio da giornalista, è arrivato in Italia quindici anni fa e ha lavorato prima in Unicredit, poi alla Western Union. Ha una moglie italiana e due figli. E’ anche uno scrittore, prosa e poesia. Lo scorso anno, Gaye decide di candidarsi alle elezioni amministrative milanesi nella lista civica per Pisapia. Quando è andato a comunicarlo al suo datore di lavoro, il presidente di “Extrabanca”, Andrea Orlandini, il dirigente ha cercato di dissuaderlo, accomunandolo “agli zingari e ai musulmani che vogliono rovinare Milano”. Per poi successivamente specificare, secondo le testimonianze raccolte, che lui e un altro collega immigrato sono “due negri africani che stanno creando troppi problemi”, che “avere troppi negri non può giovare alla banca”, e che quindi sarebbe stato meglio assumere “una persona di colore più chiaro”. A questi insulti si sono aggiunti, poi, anche quelli dell’amministratore delegato e di un altro dirigente: al lavoratore è stato detto che “non si può venire in Italia con l’aspirazione di un ruolo manageriale” e che “gli stranieri pretendono troppo: soprattutto quelli con la cittadinanza devono sapere che sono ospiti”. Gaye, turbato e offeso da queste affermazioni razziste da parte dei rappresentati dell’istituto di credito, nato due anni fa paradossalmente “per servire i cittadini stranieri residenti in Italia e le imprese da loro gestite”, ha sporto denuncia. Ieri è arrivata la condanna di “Extrabanca” da parte del Tribunale del lavoro di Milano. Secondo il giudice, l’istituto di credito ha tenuto nei confronti del dipendente senegalese “comportamenti illeciti”. Il giudice, accogliendo il ricorso del dipendente, richiama nella sua sentenza una norma del decreto legislativo 215 del 2003 sulle cosiddette “molestie razziali” sui luoghi di lavoro. Tutte le espressioni pronunciate dai dirigenti di “Extrabanca” sono state ritenute discriminatorie, in quanto implicano “sicuramente delle molestie o, quantomeno, dei comportamenti indesiderati a sfondo razziale aventi lo scopo e, sicuramente, l’effetto, di violare la dignità personale del dipendente e delle altre persone di colore presenti in azienda, creando nel contempo un clima lavorativo umiliante e offensivo tenuto conto del loro diretto ed esplicito riferimento alla razza”. Il magistrato ha dunque ordinato a “Extrabanca” “l’immediata cessazione dei comportamenti illeciti anche attraverso la diramazione e l’affissione, presso la sede di Milano, entro il 2 aprile 2012, di un comunicato” con il dispositivo della sentenza. Nello stesso comunicato, l’azienda – impone il giudice – dovrà invitare il personale ad “astenersi” nei rapporti di lavoro da “espressioni volgari od offensive a sfondo razziale”. Infine, un risarcimento di 5mila euro è stato riconosciuto al dipendente insultato. L’istituto di credito, chiaramente, ha definito il provvedimento “surreale” e ha annunciato che presenterà ricorso in appello.