Si è riunito oggi il Consiglio europeo, che dedicherà una sessione specifica al tema dell’immigrazione. Durante il meeting, che proseguirà anche domani, i rappresentanti istituzionali dei 28 paesi membri dovranno focalizzarsi sulle politiche di “ricollocazione, reinsediamento e rimpatrio”, come specifica una nota del Consiglio Ue. “Prima di tutto, abbiamo bisogno di contenere l’immigrazione illegale, e questa deve essere la nostra priorità”, ha affermato oggi il Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, confermando l’approccio dell’Europa alla questione: securitario e attento alla ‘difesa dei confini’, piuttosto che alla tutela delle persone e dei loro diritti.
Una posizione ampiamente esplicitata dalle misure assunte tanto dai singoli paesi membri quanto dalle istituzioni europee. Mentre a Ventimiglia la gendarmerie francese bloccava i migranti che tentavano di oltrepassare la frontiera tra Francia e Italia, e a Calais decine di migranti provavano a raggiungere il Regno Unito cercando di salire su camion e furgoni fermi a causa di uno sciopero dei portuali, l’Ungheria annunciava la costruzione di un muro al confine con la Serbia; dal canto suo il Consiglio europeo dei ministri degli esteri approvava senza discussione e all’unanimità la prima fase della missione navale Eunavfor Med, che al “punto A” prevede scambio di informazioni d’intelligence e attività di pattugliamento. “L’obiettivo sono i trafficanti, non i migranti“, dichiarava all’indomani dell’approvazione l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Federica Mogherini: una specifica necessaria, viste le molte voci critiche che evidenziano come la missione militare avrà il solo effetto di rendere ancora più pericolosi e difficili i viaggi delle persone che provano a spostarsi. L’operazione, il cui quartier generale di comando avrà sede a Roma, consisterà nel dispiegamento di forze militari nel Mediterraneo – 5 navi militari, due sottomarini, tre aerei da ricognizione, due droni e tre elicotteri, che si muoveranno in collaborazione con la Nato e l’agenzia europea per il controllo delle frontiere Frontex. A una fase successiva di blocco delle imbarcazioni dovrebbe seguire poi la distruzione delle stesse, con operazioni in acque territoriali e interne della Libia, senza escludere azioni sulla costa. Al momento il via libera del Consiglio riguarda solo la fase di sorveglianza della situazione nel Mediterraneo centromeridionale, in attesa di valutare “quando andare oltre questa prima fase tenendo conto di un mandato dell’ONU e del consenso degli Stati costieri interessati”. Mandato che non è stato emesso, e consenso che sembra lontano considerando che il governo libico di Tobruk si è sempre detto contrario a questo tipo di intervento. “E’ difficile capire dove stia la solidarietà verso i migranti nel varo di un’operazione che ne metterà ulteriormente a rischio la vita” sottolinea l’Arci, secondo cui “lo scopo vero è quello di impedire che profughi e richiedenti asilo raggiungano le nostre coste, altrimenti si sarebbe ricorso all’apertura di canali di ingresso umanitari”. La preoccupazione espressa da Arci – la stessa di molte ong e associazioni impegnate nella difesa dei diritti, oltre che del segretario dell’Onu Ban Ki-mook – non è evidentemente condivisa dai rappresentanti dei paesi europei: la missione verrà avviata (qui il comunicato ufficiale) con dei costi stimati pari a 11,82 milioni di euro. “Queste sono risorse – commenta l’Arci – che l’Italia e l’Europa hanno rifiutato di impiegare (e ne sarebbero servite molte meno) per attivare un’operazione di avvistamento e salvataggio in tutta l’area del Mediterraneo, l’unica che avrebbe consentito di salvare vite umane”.
Accanto all’operazione militare navale l’Unione europea sembra prevedere anche la creazione di “hotpost” nei paesi di primo ingresso – Italia, Malta e Grecia – “con l’attivo sostegno di esperti degli Stati membri e di Easo, Frontex e Europol per assicurare la rapida identificazione, registrazione e presa di impronte digitali dei migranti“. Un sistema composto da “zone di confine strutturate” – di fatto veri centri di detenzione dove le persone potrebbero essere trattenute fino a 18 mesi– che secondo l’UE permetterebbe “di determinare chi ha diritto alla protezione internazionale e chi no”, procedendo poi a un rapido rimpatrio delle persone considerate non richiedenti asilo. Un sistema che il quotidiano inglese The Guardian – che ha diffuso i contenuti di una bozza di documento preparato in vista dell’attuale Consiglio Ue – ha definito “di quarantena”, finalizzato ad “aumentare il numero di rimpatri”, grazie anche a un aumento dei poteri dell’agenzia Frontex, che potrebbe, negli auspici della Commissione europea, coordinare le operazioni di rimpatrio, attualmente gestite da ogni singolo paese a livello nazionale.
La Commissione europea ha invitato a “prendere le distanze da bozze di conclusioni del Vertice europeo” non ufficiali. Ma le dichiarazioni e i documenti ufficiali non si discostano molto dalla posizione già delineata. “Tutti quelli che non sono riconsociuti come richiedenti asilo non avranno la garanzia di poter rimanere in Europa. Solo con questo messaggio possiamo fare dei progressi reali in merito alla dislocazione dei migranti da Italia e Grecia”, ha sottolineato oggi il presidente Tusk, confermando che “attualmente non c’è consenso sul sistema di quote obbligatorie”. Infatti, mentre l’operazione militare nel Mar Mediterraneo ha unito in accordo tutti i paesi membri, sulla ridistribuzione dei migranti all’interno del territorio europeo una decisione comune sembra ancora molto lontana. Tanto che nella bozza di conclusione diffusa ufficialmente ieri dal Consiglio europeo è stata eliminata la parola “quote”, invisa a molti paesi membri, confermando comunque che si arriverà al “meccanismo di redistribuzione delle 40mila persone in chiaro bisogno di protezione internazionale”, da realizzarsi “in due anni”, e su cui “tutti gli Stati membri si accorderanno entro la fine di luglio”.
Insomma per la gestione (o la non-gestione) dell’accoglienza c’è tempo, nonostante i migranti respinti a Ventimiglia, aggrappati sotto i camion a Calais nel disperato tentativo di spostarsi, o “sistemati” in tende e strutture di fortuna, come ad esempio a Roma. Sulle politiche di rimpatrio, respingimento e monitoraggio dei confini, invece, gli accordi sono raggiunti in modo rapido e unanime. L’unione dell’Europa è quanto mai evidente: ma è basata sulla non accoglienza, sul rifiuto, sulla mancata protezione delle persone.