Aumentano i muri, si moltiplicano gli accordi tra paesi europei e stati terzi, ma finché non miglioreranno le situazioni nei paesi di uscita non cesseranno le partenze, a dispetto delle politiche di chiusura di cui l’Europa continua a rendersi protagonista. E’ il dato che emerge dal fine settimana appena concluso: tra venerdì e domenica di pasqua 8.500 persone sono state soccorse nel Canale di Sicilia, in 55 operazioni compiute da navi militari e mezzi delle ong. Persone in arrivo dalla Libia, con buona pace dell’accordo che l’Italia ha stretto con Tripoli. Tre in particolare le regioni interessate dagli sbarchi del weekend: Sicilia, Calabria, e anche la Sardegna, dove lo scorso martedì, precisamente a Cagliari, la nave norvegese Siem Pilot ha portato 816 persone – 577 uomini, 130 donne e 109 minorenni, che dovrebbero essere ospitate in una struttura in via di allestimento presso l’ex terminal crociere.
Nonostante la maggior parte delle persone provengano dall’Africa subsahariana, si nota un aumento dei migranti in arrivo da Bangladesh, Eritrea e Somalia.
A Reggio Calabria, a bordo della nave Vos Prudence di Medici Senza Frontiere, ieri mattina sono arrivati 649 migranti, quasi tutti sub-sahariani insieme ad alcune persone da Bangladesh e Pakistan, mentre sulla costa di Melito Porto Salvo Msf ha sbarcato 89 persone, quasi tutte di origine siriana. “Sono migranti che abbiamo salvato due giorni fa, a nord delle coste della Libia – ha spiegato alla stampa Michele Trainiti, responsabile del soccorso e della ricerca in mare per la ong – e molti presentavano segni di tortura e sofferenze subite in Libia o durante il tragitto. Per la prima volta cominciamo a vedere anche i segni delle guerre, feriti da arma da fuoco e segni di maltrattamenti”. Trainiti ha inoltre specificato che la presenza di molte persone provenienti dall’Asia indica che “essendo chiusa la frontiera turca, comunque si cerca sempre una via alternativa per cercare una vita migliore”.
E se non cambia il flusso verso l’Europa, non cambiano nemmeno le condizioni in cui le persone viaggiano: in modo illegale, costoso e pericoloso. Illegale, perché i paesi europei non prevedono alcuna politica di ingresso legale, né per chi si sposta alla ricerca di lavoro, né per chi fugge in cerca di protezione. Costoso, perché senza alcuna possibilità di ingresso legale le persone sono costrette a pagare chi organizza i viaggi, dietro lauti compensi. Pericoloso, perché senza canali di ingresso istituzionali le persone sono obbligate a usare i percorsi selezionati dai trafficanti, sottoponendosi a violenze, brutalità, e ai rischi che comporta attraversare il mare con imbarcazioni di fortuna. C’è questo, ancora una volta, alla base della morte di tredici persone, che non sono riuscite a sopravvivere a un viaggio disperato.
Dalle prime ricostruzioni, sette sono i corpi senza vita recuperati a circa venti miglia dalle coste libiche dalla nave Phoenix della ong Moas. Tra loro, anche quello di un bambino di soli 8 anni, insieme a quattro uomini e due donne, di cui una incinta.
La Asso Ventinove della Marina militare ha sbarcato lo scorso martedì 1500 persone nel porto di Vibo Valentia. Sulla nave anche il corpo senza vita di un ragazzo di sedici anni, che sarebbe morto di stenti durante la traversata.
I morti di questi ennesimi sbarchi si aggiungono alle 655 persone che da gennaio 2017 hanno perso la vita provando a raggiungere l’Europa attraversando il Mare Mediterraneo: una tragica media di 5 morti al giorno (qui i dati aggiornati dell’Unhcr).
Le operazioni di soccorso hanno impegnato i mezzi dell’agenzia europea Frontex, che hanno recuperato 1400 persone. Un altro centinaio di migranti sono stati presi a bordo delle imbarcazioni della Guardia costiera italiana e della marina militare. Tutte le altre persone sono state soccorse dalle navi delle ong, che da sabato hanno lanciato appelli relativi ai diversi gommoni in pericolo al largo delle coste libiche, e che ora rispediscono al mittente le accuse lanciate dall’agenzia Frontex, secondo cui l’intervento umanitario aiuterebbe i trafficanti. “Un bambino di 8 anni è morto soffocato dall’indifferenza dell’Unione Europea” ha scritto su Twitter Regina Catrambrone, fondatrice della Ong Moas, che la mattina del 9 aprile scriveva: “Our crew says they’ve never seen anything like it. Urgent assistance is needed”. Faceva eco Msf: “Where was @Frontex when an NGO boat already full of people was forced to standby and monitor several overcrowded boats all night long?”
Una domanda che resta senza risposta, per un aiuto che stenta ad arrivare.
Nicola Stalla, che coordina le operazioni di salvataggio della nave Aquarius con cui operano Msf e Sos Mediterranée, mentre fa notare che “è sbagliato dire che le ong provochino una crescita dei flussi”, ricorda come “nel 2014 dopo che le operazioni di Mare Nostrum furono bloccate, il numero di gommoni continuò a aumentare”. E Marcella Kraay, coordinatrice di Msf sull’Aquarius, sottolinea:“Ci muoviamo in un quadro internazionale in strettissimo collegamento con il Mediterranean rescue coordination center di Roma che gestisce tutte le nostre operazioni. Invece che sul pool factor, bisognerebbe concentrarsi sul push factor, ossia sui motivi che spingono i migranti a imbarcarsi su mezzi di fortuna, perché molti di quelli che raccogliamo sui gommoni preferiscono morire in mare piuttosto che restare in Libia”. E’ quello che è successo a un giovane di circa vent’anni, senza documenti, morto mentre viaggiava da solo, il cui corpo è stato recuperato dalla Aquarius.
Le persone arrivate in questo ultimo weekend vanno a sommarsi ai tanti che continuano a arrivare: da gennaio, sono sbarcate in Italia circa 35mila persone, il 30% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. Il governo italiano, che ha appena approvato un decreto sull’immigrazione molto criticato da ong e associazioni a tutela dei diritti, dovrà ora dare una pronta risposta sull’accoglienza, che invece stenta ad arrivare. Ma, allargando lo sguardo oltre i confini nazionali, il dato deve imporre una presa in carico istituzionale, dei paesi membri e di tutta l’Unione.