di Roberta Salzano
Tra pochi giorni voteremo i nostri rappresentanti al Parlamento Europeo. Da questo voto saranno esclusi molti milioni di persone che vivono stabilmente in Europa: non hanno la possibilità di votare, perché non hanno acquisito la cittadinanza di uno degli Stati membri. Come si acquista la cittadinanza in Italia? Quali sono i contenuti della riforma non portata a termine nella scorsa legislatura? E quali sono gli elementi che accomunano o differenziano la legislazione in materia negli altri paesi europei? Proponiamo di seguito un approfondimento in materia.
1. Introduzione
Tra il 23 e il 26 maggio 2019 gli elettori europei si recheranno alle urne per rinnovare il Parlamento europeo, unica istituzione dell’UE i cui membri sono eletti direttamente. In Italia si voterà domenica 26 maggio. Giunti alla nona tornata della storia elettorale europea permangono dei temi irrisolti. Tra i molti, quello del modello di cittadinanza europea, nonostante negli ultimi anni il dibattito sia più volte riemerso, soprattutto con riferimento al fenomeno delle migrazioni. Ad oggi l’acquisizione della cittadinanza europea resta legata all’acquisizione della nazionalità dei singoli Stati membri che viene variamente disciplinata da questi. Di recente la stessa Italia è stata interessata da un (effimero) nuovo slancio del dibattito pubblico sul tema. La tentata e per fortuna fallita strage dello scuolabus dirottato a Milano del 20 marzo scorso, in cui si sono distinti Rami Shehata e Adam El Hamami, ragazzi nati in Italia da genitori rispettivamente egiziani e marocchini, che sono riusciti ad allertare in tempo le forze dell’ordine, ha riportato il dibattito al centro dell’attenzione della pubblica opinione. Questo anche perché dopo una serie di affermazioni di fermo rifiuto, il Ministro dell’Interno Matteo Salvini è sembrato convinto ad avviare le procedure della concessione della cittadinanza ex art. 9, comma II, ossia per “eminenti servizi resi all’Italia”, per poi fare un nuovo passo indietro. Ad oggi la questione sembrerebbe ancora aperta, o forse caduta nel dimenticatoio.
Alla luce dei recenti e futuri avvenimenti risulta dunque utile tornare a fare il punto sulla legislazione italiana in materia, sulla riforma tentata nel corso delle scorse due legislature e sul quadro legislativo europeo.
Il concetto di cittadinanza esprime il legame tra individuo e Stato (c.d. dimensione verticale della cittadinanza), acquisito per nascita, naturalizzazione o in altri modi, nel rispetto delle rispettive legislazioni nazionali, ossia l’appartenenza del cittadino alla rispettiva comunità politica (c.d. dimensione orizzontale), e quindi l’insieme di diritti e doveri che da questa appartenenza discendono. Si parla, in questo caso, di status di cittadino, che distingue questo dallo straniero[1]. Proprio per questo motivo la competenza a disciplinare la materia della cittadinanza è da sempre attribuita allo Stato, con poche e limitate ingerenze da parte del diritto sovranazionale (europeo nel caso specifico) e di quello internazionale, che riguardano principalmente il divieto di apolidia[2]. È pur vero che nel corso del tempo tale concezione di cittadinanza è andata sfumando, innanzitutto attraverso il riconoscimento di alcuni diritti sociali e civili anche agli stranieri. Persiste invece una forte differenza tra cittadini e stranieri riguardo i diritti politici, e quindi di voto, fatta eccezione per alcune previsioni rispetto alle elezioni amministrative locali[3].
2. La legislazione attualmente in vigore in Italia
In Italia la cittadinanza è disciplinata dalla legge n. 91/1992 e dai relativi regolamenti attuativi (in particolare, i DPR nn. 572 del 12 ottobre 1993 e 362 del 18 aprile 1994). In generale si distingue un accesso alla cittadinanza automatico (generalmente per nascita, adozione o riconoscimento di filiazione) e uno subordinato (per beneficio di legge, discendenza, residenza continuativa, naturalizzazione e matrimonio).
La legge attualmente in vigore prevede che il principio generale che regola l’acquisizione di cittadinanza sia lo ius sanguinis, con limitati elementi di ius soli, che si applica in maniera residuale alla nascita ai bambini nati in Italia se figli di ignoti o figli di genitori apolidi o ancora ai nati sul territorio italiano che non possono ereditare la cittadinanza dei genitori. Ai bambini nati in Italia da genitori stranieri si applica invece il principio dello ius domicilii. I figli di cittadini stranieri possono acquisire la cittadinanza italiana al raggiungimento dei 18 anni, se in possesso di determinati requisiti quali la residenza senza interruzioni dalla nascita e solamente se lo dichiarano entro un anno dal compimento della maggiore età. Scaduto questo termine il diritto alla cittadinanza decade. Il D.L. n. 69 del 2013, nell’ottica di una generale semplificazione del procedimento per l’acquisto della cittadinanza da parte degli stranieri residenti in Italia, ha previsto che gli Ufficiali di Stato Civile informino i ragazzi interessati sei mesi prima il compimento dei 18 anni. Se ciò non avviene il diritto può essere esercitato anche oltre la scadenza prevista. Per i minori nati all’estero, anche se giunti in Italia nei primi anni di età non è invece prevista nessuna agevolazione, fatta eccezione per i figli minori di chi acquista cittadinanza italiana, se conviventi con il genitore. Tutti i cittadini stranieri nati in un Paese straniero possono accedere alla cittadinanza italiana, infatti, solamente dopo 10 anni di residenza legale ininterrotta in Italia (naturalizzazione). Tale requisito è ridotto a 4 anni di attesa per i cittadini di altri Stati Membri dell’UE, a 5 per apolidi o rifugiati, come pure per i maggiorenni adottati da genitori italiani. Per portare a termine la procedura di naturalizzazione sono inoltre necessari altri requisiti come: il possesso di un regolare reddito, l’assenza di condanne per reati gravi, una buona storia di “integrazione” e un sufficiente livello di conoscenza della lingua italiana (non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento). Gli stranieri che hanno un permesso di soggiorno di lungo periodo (per il cui ottenimento è necessario dimostrare la conoscenza della lingua italiana -livello A2-) non devono sottoporsi al test di lingua.
Infine la cittadinanza italiana può essere acquisita per matrimonio. Anche in questo caso è richiesto un periodo residenza di almeno 2 anni dalla celebrazione del matrimonio, 3 se i coniugi risiedono fuori dal territorio italiano. I tempi sono ridotti della metà se la coppia ha figli. Il decreto n.1132018 (decreto Salvini) ha previsto la subordinazione della concessione della cittadinanza per matrimonio ad un’adeguata conoscenza della lingua italiana, mentre prima dell’entrata in vigore del decreto si rimandava al generico concetto di “integrazione” in Italia. Da febbraio 2017, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 76 del 20 maggio 2016 (c.d. legge Cirinnà), le domande di cittadinanza italiana possono essere presentate anche dal partner straniero di un’unione civile.
Vanno infine evidenziati altri due importanti aspetti amministrativi. Il primo riguarda il contributo economico richiesto per formalizzare la domanda di cittadinanza. Tale contributo, precedentemente non previsto, è stato introdotto dal decreto sicurezza del 2009 (Decreto-legge n. 11 del 23 febbraio 2009), e poi aumentato dal recente decreto Salvini, che lo ha portato da 200 a 250 euro. L’altra questione riguarda invece la discrezionalità delle autorità competenti, che risulta molto ampia, dal momento che la cittadinanza italiana, fatta eccezione per alcuni casi, come quello dell’acquisizione per matrimonio, non si acquisisce per diritto, ma viene concessa dallo Stato italiano. Vige in ogni caso l’obbligo di indicare le ragioni dell’eventuale diniego della concessione della cittadinanza e le modalità di ricorso esperibili.
L’Italia è stato, negli ultimi anni, il Paese europeo nel quale si sono registrati i numeri maggiori di acquisizione di cittadinanza, con una crescita a partire dal 2012. Nel 2017 si è invece assistito, come per gli altri Paesi, ad una battuta d’arresto rispetto alla tendenza registrata gli anni precedenti. L’incidenza degli stranieri, ora cittadini è oggi pari al 2,4% (vedi qui e qui).
3. L’ultima proposta di riforma discussa in Italia
A partire dal 1992 sono stati presentati oltre 150 disegni di legge di modifica della disciplina sulla cittadinanza. Soltanto nella precedente legislatura, ossia tra il 2013 e il 2018, i disegni di legge presentati sono stati circa 50, compreso quello approvato in prima lettura alla Camera il 13 ottobre 2015 e rimasto fermo in attesa di approvazione da parte del Senato, fino allo scioglimento delle Camere avvenuto il 28 dicembre 2017, ossia per ben 2 anni (vedi qui).
Il Disegno di legge S. 2092 recante “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre disposizioni in materia di cittadinanza”, si presentava come il risultato di un compromesso parlamentare tra le differenti forze partitiche, che prendeva le mosse dalla campagna “l’Italia sono anch’io”, una raccolta di firme su una legge di iniziativa popolare sottoscritta da più di 100mila cittadini italiani. La proposta prevedeva il riconoscimento della cittadinanza alla nascita per i bambini stranieri nati in Italia da almeno un genitore nato in Italia o regolarmente soggiornante da almeno 1 anno e di facilitarne l’acquisizione per i minori stranieri giunti sul territorio italiano prima dei 10 anni, su richiesta da presentare entro due anni dal compimento della maggiore età. Si proponeva inoltre di dimezzare l’anzianità di residenza richiesta per la naturalizzazione e di introdurre una clausola che garantisse la certezza dei tempi di conclusione della procedura. Il testo discusso al Parlamento non prevedeva l’introduzione dello ius soli automatico alla nascita, ma il riconoscimento della cittadinanza per i bambini nati in Italia da almeno un genitore titolare di un permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, e solo su istanza di uno dei genitori. La proposta di iniziativa popolare prevedeva anche l’attribuzione della cittadinanza ai minori stranieri giunti in Italia prima dei dodici anni di età, su istanza di un genitore regolarmente residente, a seguito di percorso di istruzione. Nonostante le modifiche apportate alla Camera rispetto alla proposta iniziale, molto criticate dai promotori della campagna, la modifica della disciplina sulla cittadinanza è, alla fine, completamente saltata. Anzi, il D.L. 112/2018, poi L.132/2018, non ha fatto altro che aggravare ulteriormente le procedure per l’acquisizione della cittadinanza italiana, agendo principalmente sull’allungamento dei tempi di attesa e su altri aspetti burocratici. Il decreto ha infatti aumentato i costi per la richiesta e raddoppiato i tempi di attesa per l’ottenimento della cittadinanza per naturalizzazione o per matrimonio, che sono passati da 24 a 48 mesi, anche per i procedimenti già in corso alla data del 5 ottobre 2018. È stato inoltre previsto che la domanda di cittadinanza possa essere sempre rigettata, anche alla scadenza dei 4 anni, colpendo non soltanto i richiedenti ma, indirettamente, anche i figli minori di questi. Infatti qualora i figli abbiano superato i 18 anni al momento in cui il genitore ottiene la cittadinanza, questi non potranno più usufruire della estensione automatica della cittadinanza ma dovranno farne autonomamente richiesta, attendendo ulteriori 48 mesi e affrontando ex novo i costi della domanda. Lo stesso decreto ha previsto inoltre la possibilità di revoca della cittadinanza italiana esclusivamente a chi l’ha acquisita per matrimonio, per concessione o per iure soli (ai sensi degli artt. 4, comma 2, 5 e 9[4]) se ha commesso una serie di reati gravi di natura politica. La revoca è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, entro tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
4. Il contesto europeo
Per approfondimenti sui singoli Paesi si rimanda alle schede in appendice
La questione della revisione della legislazione nazionale in tema di cittadinanza ha, negli ultimi anni, interessato diversi Paesi europei. Soltanto nello scorso anno, la Norvegia ha approvato una legge che consente la doppia cittadinanza e il Portogallo ha modificato la propria legislazione per introdurre alcuni elementi di ius soli e per ridurre l’anzianità di residenza richiesta per la procedura di naturalizzazione. In senso contrario la revisione austriaca ha portato da 6 a 10 gli anni minimi di residenza richiesti ai rifugiati per poter accedere alla naturalizzazione. Così, mentre alcuni Stati si muovono verso modelli maggiormente permissivi, in altri vengono introdotte maggiori restrizioni e richiesti requisiti aggravati, soprattutto per ciò che riguarda la procedura di naturalizzazione. Come anticipato non esiste un modello europeo di acquisizione di cittadinanza.
Cittadinanza per nascita
Tendenzialmente il principio che guida tutte le legislazioni nazionali degli Stati membri è lo ius sanguinis. Tutti i Paesi UE si basano sul principio per cui la cittadinanza si eredita dai propri genitori, sebbene cambi di Paese in Paese il numero di generazioni alle quali è permesso trasmettere la cittadinanza per discendenza. Quanto allo ius soli, alcuni Paesi lo applicano solamente se in possesso di altri requisiti come il fatto che i genitori siano nati nel Paese (c.d. doppio ius soli), la regolare residenza dei genitori per un certo periodo di tempo (che va dai 10 anni richiesti in Belgio ai 2 anni in Portogallo) o lo status matrimoniale di questi, o la maggiore età. Si parla in questo caso di ius soli temperato, per cui oltre alla nascita sul territorio dello Stato di cui si richiede la cittadinanza, vengono poste altre condizioni. L’attribuzione della cittadinanza al compimento dei 18 anni (c.d. elezione della cittadinanza) o prima, può a sua volta essere automatica, su dichiarazione o su istanza da parte di un genitore. Un’ulteriore restrizione allo ius soli è il divieto di doppia cittadinanza, per cui nella maggior parte dei Paesi europei i figli di cittadini stranieri non possono acquisire la cittadinanza tramite ius soli se prima non rinunciano all’altra cittadinanza acquisita alla nascita tramite i propri genitori. Le recenti modifiche occorse in differenti Paesi hanno quasi tutte cercato di eliminare del tutto, o comunque di limitare il divieto di doppia cittadinanza. Molto comune tra le legislazioni europee è invece la possibilità, per le persone nate nel Paese ma senza cittadinanza, di accedere con alcune agevolazioni al processo di naturalizzazione.
Naturalizzazione
Per quanto riguarda la naturalizzazione, questa è comunemente subordinata al possesso di una serie di requisiti. Quello più frequentemente richiesto è un periodo di residenza minimo sul territorio dello Stato di cui si vuole diventare cittadini. I requisiti di residenza per la naturalizzazione variano da 3 a 10 anni. La maggior parte dei paesi europei prevedono che tale residenza debba essere continuativa.
Tutti gli Stati europei escludono esplicitamente dalla naturalizzazione le persone con (più o meno) gravi precedenti penali, spesso riconosciuti tali sulla base della durata della pena detentiva. Alcuni Stati non definiscono chiaramente questa disposizione, lasciando ampio spazio all’interpretazione della legge.
Altro requisito molto comune riguarda la conoscenza adeguata della lingua ufficiale quale strumento per valutare l’effettiva e completa “integrazione” dello straniero nella società, o la maggiore propensione ad insersi nella società di residenza. Nella maggior parte dei casi il livello di conoscenza linguistica richiesto è determinato sulla base al Quadro Comune Europeo di riferimento per le lingue. Il livello più basso ritenuto sufficiente è pari al livello A2. Il livello più alto, B2, si registra in Danimarca. Spesso è richiesto il possesso di un attestato, rilasciato da scuole pubbliche o centri riconosciuti, che certifichi il livello di conoscenza della lingua. In altri casi è sufficiente la frequenza di determinati anni di scuola. Alcune deroghe sono previste in particolare nei confronti di anziani e persone con problemi di apprendimento.
Molto spesso oltre al requisito linguistico è richiesta anche la conoscenza dei principi fondamentali dell’ordinamento, della Costituzione o di elementi maggiormente legati alla storia e alla cultura del Paese. In alcuni Paesi il test di cittadinanza riguarda la conoscenza della società intesa in senso più ampio, come capacità di affrontare alcune situazioni quotidiane.
Altro requisito comunemente richiesto riguarda l’indipendenza economica del richiedente.
La procedura di naturalizzazione è quasi sempre facilitata per le persone nate nel Paese. Nella maggior parte dei casi nella procedura di acquisizione di cittadinanza gioca un forte ruolo la discrezionalità lasciata alle autorità competenti, che possono in alcuni casi decidere in maniera definitiva e non appellabile. Rari sono invece i casi in cui la cittadinanza è automatica al possesso dei requisiti richiesti e la discrezionalità delle autorità competenti è severamente limitata da legge.
L’acquisizione della cittadinanza da parte dei minori
I figli minorenni possono acquisire generalmente la cittadinanza a seguito di un minimo periodo di residenza o per estensione della naturalizzazione dei genitori. Categoria a parte quella dei figli di ignoti o individui apolidi alla nascita, il cui accesso alla cittadinanza è considerato un diritto e dovere da parte degli Stati nel rispetto degli obblighi internazionali già richiamati, salvo rare eccezioni.
L’acquisizione della cittadinanza da parte dei rifugiati
Anche nel caso dei rifugiati, per definizione privati della protezione dallo Stato di cui hanno cittadinanza, i paesi UE disciplinano in maniera disparata la materia, nonostante gli obblighi internazionali (in particolare la Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e la Convenzione Europea sulla nazionalità del 1997) raccomandino agli Stati di prevedere disposizioni agevolate. Generalmente la soluzione adottata è quella di limitare o eliminare del tutto il possesso del requisito della residenza continuativa sul proprio territorio, delle condizioni abitative, o di quello relativo all’autosufficienza economica o ancora di altre condizioni materiali e requisiti che i rifugiati potrebbero avere difficoltà a soddisfare. Esistono tuttavia delle legislazioni che non prevedono disposizioni in tal senso (si tratta in particolare di Paesi Bassi, Regno Unito e Malta).
L’acquisizione della cittadinanza per matrimonio
Riguardo l’acquisizione della cittadinanza per matrimonio generalmente sono richiesti: una durata minima di vita in comune e un certo periodo di residenza nel Paese da parte del coniuge straniero. Tutti i Paesi europei facilitano l’acquisizione della cittadinanza dei coniugi già in possesso di un permesso di soggiorno. In alcuni casi i partner stranieri non sposati di cittadini UE hanno la possibilità di accedere a procedure più vantaggiose per la naturalizzazione. Lo scopo di tali disposizioni è infatti quello di salvaguardare l’unità familiare. Alcuni Paesi infine consentono l’acquisizione della cittadinanza anche ai coniugi di cittadini che vivono stabilmente all’estero, ma a determinate condizioni. In buona parte dei Paesi membri UE è garantita la parità di trattamento tra unioni eterosessuali e omosessuali, per cui le “unioni civili” sono riconosciute alla pari del matrimonio.
Altre forme di acquisizione della cittadinanza
In alcuni Stati UE la cittadinanza può essere accordata alle persone con talenti speciali o che apportano contributi significativi allo Stato. Molti Stati membri accordano privilegi nell’accesso alla propria cittadinanza ad ex cittadini, o a loro parenti, o ancora a persone appartenenti a determinati gruppi con i quali si condividono specifiche affinità storiche e culturali, dovute principalmente a passati legami coloniali. Alcuni Paesi consentono di rimpatriare cittadini stranieri soggetti in passato a diaspore “etniche”, anche in mancanza del requisito di residenza.
Le prassi amministrative
Bisogna sottolineare che l’accesso alla cittadinanza non si esaurisce solo con l’adempimento di tutti i requisiti previsti dalla legge. Altri elementi da tenere in debito conto riguardano infatti le procedure amministrative, la già citata discrezionalità a decidere, i tempi di attesa e i requisiti economici previsti. In rarissimi casi le domande di cittadinanza sono gratuite, fino ad arrivare ai casi in cui, a seconda del tipo di richiesta, per formalizzare la propria procedura, si spende tra i 1.400 e i 1.800 euro (Grecia e Austria). In alcuni casi le spese relative alla naturalizzazione dipendono dall’ammontare del reddito di chi ne fa richiesta. Inoltre si deve ricordare che se la naturalizzazione del richiedente si estende ad altri membri della famiglia, l’importo totale può ulteriormente aumentare. Sebbene poi la stessa Convenzione europea sulla cittadinanza preveda che ciascuno Stato garantisca che le domande relative all’acquisizione, alla conservazione, alla perdita e al recupero della cittadinanza siano trattate entro un termine ragionevole, non sono affatto rari i casi di procedure eccessivamente lunghe, a causa del cattivo funzionamento dell’apparato burocratico e della complessità della procedura, spesso ulteriormente aggravata dalla necessità di reperire i documenti richiesti nel Paese di origine, tradurli e legalizzarli. Per questo motivo la maggior parte degli Stati membri consente di sostituire alcuni documenti richiesti con altri, in caso quelli originali siano irreperibili o non previsti dalle amministrazioni del proprio Stato. In questi casi generalmente è previsto che il richiedente faccia un’autodichiarazione.
I tempi medi di attesa per l’espletamento della procedura variano da meno di 1 anno (come accade in Austria, Germania e Paesi Bassi) al caso della Grecia, dove non esiste nessuna disposizione che preveda una durata massima della procedura. Particolarmente complesse risultano le procedure negli Stati in cui le autorità regionali e locali godono di un ruolo significativo nell’attuare le leggi sulla nazionalità. Ciò vale in particolare negli Stati federali o dove le amministrazioni locali o regionali sono responsabili della somministrazione dei test di lingua, dei colloqui di valutazione, e della raccolta dei documenti richiesti, che vengono poi trasmessi alle autorità centrali dello Stato. In questi casi la discrezionalità degli attori coinvolti si fa ancora più forte. Succede così che situazioni simili finiscano molto spesso per essere trattate in maniera diversa a seconda dell’ufficio dove si presenta domanda. Nel 2017 Eurostat ha registrato una riduzione generale del numero di cittadinanze concesse negli Stati membri UE (825.400 persone hanno ottenuto la cittadinanza di uno Stato membro dell’UE), con una diminuzione del 17% rispetto al 2016.
5. Conclusioni
Ad oggi in Italia siamo ancora in attesa di un intervento normativo che sappia adeguare la legislazione nazionale vigente in materia di cittadinanza ai cambiamenti di una società che è ormai molto diversa da quella del ’92 (si veda qui).
Nel corso della nuova legislatura europea che si aprirà dopo le prossime elezioni europee, sarebbe opportuno che anche le istituzioni europee avviassero dei processi di standardizzazione delle procedure di acquisizione della cittadinanza nazionale, a partire dalla limitazione della discrezionalità delle autorità amministrative che decidono in merito. L’analisi delle differenti legislazioni europee mostra infatti da una parte la presenza di un numero limitato di paesi che tendono a facilitare l’accesso alla cittadinanza da parte dei cittadini stranieri, rispondendo ad una presenza sempre più stabile della componente immigrata e, dall’altra una tendenza diffusa, all’inasprimento dei requisiti richiesti per accedere alla procedura, in particolare quelli linguistici e/o comprovanti l’inserimento nella società di residenza, concepiti in molti casi per riaffermare la propria identità nazionale ed escludere chi non dimostra una piena adesione.
Scarica le schede di approfondimento disponibili per alcuni paesi
Approfondimenti e consigli di lettura
A. BARAGGIA, La cittadinanza “composita” in alcune esperienze europee. Spunti di riflessione per il caso italiano, in www.federalismi.it, n. 18/2017
G. MILANI, Cittadinanza e integrazione. L’influenza del diritto comparato sulla disciplina italiana e sulle proposte di riforma, in www.federalismi.it, n. 4/2018
G. NALETTO, Cittadinanza: dei diritti e delle pene, in gli Asini, n. 44
Eurostat, Acquisition of citizenship statistics
Eurostat, Migration and migrant population statistics
M. C. MARCHETTI, Cittadinanza europea e cittadinanza nazionale. Luci e ombre di un rapporto difficile
[1] Per approfondire si vedano E. BARSANTI, Cittadinanza(voce), in Enciclopedia giuridica italiana, III parte II, Milano, Soc. Ed. Libraria, 1913, pp. 603-631, che la qualifica quale “complesso di diritti e di doveri spettanti alla persona che fa parte di una determinata consociazione politica, sanciti dalle leggi di questa”. Sulla coincidenza tra cittadinanza e nazionalità si veda E. GROSSO, Le vie della cittadinanza, CEDAM, Padova, 1997. Evidenzia la differenza tra cittadini e stranieri (tra gli altri) J. BODIN, I sei libri dello Stato, I, 6, tr. it. M. ISNARDI PARENTE (a cura di), Torino 1964, pp. 304 ss. Per ulteriori approfondimenti si veda J. HABERMAS, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano, 1998 e M. R. MAURO, “Immigrati e cittadinanza: alcune riflessioni alla luce del diritto internazionale”, in La Comunità Internazionale, n. 2, 2007, pp. 362 s.. Sul concetto di cittadinanza più in generale si può far riferimento a E. GROSSO, Le vie della cittadinanza, Le grandi radici, I modelli storici di riferimento, Padova 1997; P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, Vol. 1 (Dalla civiltà comunale al settecento), Roma e Bari, 1999; C. SALAZAR, “«Tutto scorre»: riflessioni su cittadinanza, identità e diritti alla luce dell’insegnamento di Eraclito”, in Politica del diritto, n. 3/2001; M. CUNIBERTI, La cittadinanza. Libertà dell’uomo e del cittadino nella Costituzione italiana, Padova, 1997; S. BARIATTI, La disciplina giuridica della cittadinanza italiana, II Vol., Giuffrè, Milano 1996. Sulla cittadinanza europea si veda M. CARTABIA, La cittadinanza europea (voce), in Enciclopedia Giuridica Treccani, VI Vol., Roma, 1995 e C. PINELLI, Cittadinanza europea (voce), in Enciclopedia del diritto, Annali, III Vol., Giuffrè, Milano, 2007.
[2] La disciplina sovranazionale tesa a tutelare gli apolidi, nonché a ridurre i casi di nuova apolidia, si basa fondamentalmente sulle norme contenute nelle Convenzioni internazionali del 1954 e del 1961, rispettivamente relative allo statuto delle persone apolidi e alla riduzione dell’apolidia. A queste si aggiunge la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione della condizione di apolide in relazione alla successione di Stati del 2009 che, rifacendosi alla Convenzione europea sulla nazionalità del 1997, specifica alcuni aspetti minimi delle normative applicate dagli Stati firmatari. Completano il quadro normativo la Raccomandazione n. 18 sull’evitazione e diminuzione dell’apolidia del 15 settembre 1999, la Raccomandazione n. 83 sui nomadi apolidi o dalla nazionalità indefinita del 22 febbraio 1983 e la Raccomandazione n. 13 del Comitato dei Ministri sulla nazionalità dei bambini del 9 dicembre 2009. Per un approfondimento si veda, in generale G. BISCOTTINI, Apolidia (voce), in Enciclopedia del diritto, Vol. II, 1958, p. 612, e UNHCR, Handbook on the Protection of Stateless Persons. Si veda ancora PANOZZO R., “Cenni sulla condizione dell’apolide nel diritto internazionale e nell’ordinamento giuridico italiano”, in Stato civile italiano, marzo 2004; S. MARINAI, “L’Unione europea e gli apolidi”, in G. CAGGIANO (a cura di), I percorsi giuridici per l’integrazione. Migranti e titolari di protezione internazionale tra diritto dell’Unione e ordinamento italiano, Giappichelli, Torino, 2014, pp. 437 ss..
[3] Il cittadino dell’Unione soggiornante in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza gode del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato (art. 22 TFUE). Si veda la Direttiva 93/109 del Consiglio dell’Unione Europea del 6 dicembre 1993, relativa alle modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento Europeo per i cittadini dell’unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono cittadini, cui l’Italia ha dato attuazione tramite il decreto-legge n. 408 del 24 giugno 1994, recante Disposizioni urgenti in materia di elezioni al Parlamento Europeo, poi convertito in legge, e la Direttiva 94/80/CE del Consiglio del 19 dicembre 1994, che stabilisce le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini dell’Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza, attuata in Italia dal decreto legislativo n. 197 del 12 aprile 1996. In Italia prima del 1992, la cittadinanza, e quindi il diritto di voto, si ottenevano dopo 5 anni di residenza continuativa nel territorio dello Stato. La legge n. 91/1992, ha portato il tempo di attesa a 10 anni. Gli immigrati regolarmente residenti sono ammessi ai referendum consultivi locali solamente in alcune città. Per un approfondimento si veda E. GROSSO, La titolarità del diritto di voto, Torino, 2001 e P. BONETTI, Ammissione all’elettorato e acquisto della cittadinanza: due vie dell’integrazione politica degli stranieri. Profili costituzionali e prospettive legislative.
[4] Tale previsione è valida solamente per: “lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età […] entro un anno dalla suddetta data”, “il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano […] quando risiede legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale” e “allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi i casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni [;] allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione [;] allo straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato [;] al cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee se risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica [;] all’apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica [;] allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica”.