Dunque il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza per punire il governo Orban approvando la relazione Sargentini sullo stato di diritto in Ungheria, avviando così l’applicazione dell’articolo 7 dei Trattati, che nella sua fase più avanzata può condurre a sanzioni contro il Paese. A favore hanno votato 448, 197 si sono espressi contro, 48 si sono astenuti, per un totale di 693 votanti.
Ora la parola passa al Consiglio europeo, ovvero ai capi di Stato e di governo dell’Unione. L’articolo 7 si applica quando uno Stato membro vìola le prescrizioni dell’articolo 2 degli stessi Trattati che recita: L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.
La risoluzione proposta da Sargentini (deputata Verde duramente attaccata dai difensori di Orban anche perché iscritta a quel gruppo) elenca chiaramente quali siano le preoccupazioni del Parlamento: in questi anni si è operato in maniera da modificare la struttura dello Stato di diritto e l’ordine costituzionale, limitare l’indipendenza della magistratura, si è limitata la libertà di espressione, quella accademica, quella di associazione, non si sono tutelati i diritti di persone appartenenti a minoranze, quelli dei migranti e dei richiedenti asilo – l’elenco delle violazioni imputate al governo ungherese continuerebbe, ci fermiamo qui. Legiferando in materia costituzionale, favorendo la chiusura o l’acquisizione dei media indipendenti, chiudendo le frontiere, limitando l’indipendenza e il ruolo delle Ong, negli anni il governo di Budapest ha in effetti violato l’articolo 2, che è uno di quelli che ricorda a noi tutti i tratti della differenza europea: il continente è democratico, non limita la libertà di espressione e, almeno nelle sue leggi fondanti, tratta tutti gli esseri umani allo stesso modo. Ora la parola passa al Consiglio che per sanzionare Budapest dovrebbe adottare decisioni all’unanimità, cosa improbabile visto che la Polonia si trova in una situazione simile e difficilmente voterà a favore (qui l’infografica dell’Europarlamento sulla procedura che segue il voto dell’aula).
Il voto del Parlamento Ue, per quanto si tratti di un fatto senza precedenti, è dunque un atto dovuto. Se si cede sovranità e ci si danno delle regole comuni e molto stringenti in materia di bilancio, è bene che anche in materia di diritti ci siano dei confini che non si possono oltrepassare. La chiusura delle università e le discriminazioni sono in materia di Stato di diritto quel che è il 3% in materia di debito pubblico. Se Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia sono stati sanzionati per aver violato le regole, non si capisce perché questo non debba accadere quando le regole sono quelle della convivenza umana e non quelle contabili.
Su questo sito ci occupiamo di razzismo e, dunque, parlando del voto del Parlamento di Strasburgo sarà utile tornare a quello tornando al discorso in aula di Orban e a quello in cui il premier ungherese ha teorizzato “la democrazia illiberale”. A Strasburgo Orban ha detto: “L’Ungheria sarà condannata perché ha deciso che non sarà patria di immigrazione. Ma noi non accetteremo minacce e ricatti delle forze pro-immigrazione: difenderemo le nostre frontiere, fermeremo l’immigrazione clandestina anche contro di voi, se necessario”. Il leader di Fidesz non nomina la magistratura e non nomina i media, ma solo l’immigrazione e le frontiere. Sul fronte delle libertà civili non trova argomenti per rivendicare le proprie azioni. Sul fronte del razzismo sì:quella è la sua arma di propaganda e quello, assieme alla sacra inviolabilità delle frontiere, è l’argomento con il quale Orban cerca consensi in casa, tra i deputati dell’Europarlamento e nell’opinione pubblica europea. E come sappiamo ha molti alleati anche nel nostro Paese.
Proprio per questo il voto dell’Europarlamento è importante: serve a cambiare argomento, a distinguere la democrazia europea da un disegno che accompagna la xenofobia come arma di propaganda a un restringimento delle libertà e dei diritti. L’Europa non è nata perché è un insieme di Paesi cristiani chiusi tra loro e verso l’esterno, ma perché ha riconosciuto che quelle chiusure e l’utilizzo di vessilli religiosi o etnici ha portato agli orrori vissuti tra gli anni ’30 e la fine della Seconda Guerra Mondiale. E dopo l’89 l’Europa ha allargato i propri confini anche per fare in modo che i Paesi che avevano conosciuto una forte limitazione delle libertà individuali non tornassero indietro. L’Ungheria, anche se Orban ha rivendicato l’insurrezione di Budapest contro i sovietici, sta scegliendo di tornare a un regime non democratico. L’Europarlamento ha scelto di tornare alle radici del disegno europeo. Che sono quelle della democrazia e dei diritti umani.