“Alfano, terroristi Al Qaida tra migranti? Non si può escludere” (Ansa 6 giugno); “Alfano: “Terroristi tra migranti? Non si può escludere. Vigilanza altissima” (La Repubblica.it 6 giugno); “Alfano: terroristi tra migranti dalla Libia? E’ possibile” (Il Messaggero.it 6 giugno); “Alfano: “Terroristi tra i migranti dalla Libia? Non si può escludere” (La Stampa.it 5 giugno); Alfano: “Non escludo terroristi tra i migranti” (Giornale di Sicilia 6 giugno); “Al Quaeda arriva col gommone “Possibili terroristi tra i migranti” (Today.it 6 giugno).
Ci fermiamo qui.
Ci (ri)siamo. E se qualcuno avesse pensato che con la fine della campagna elettorale l’inquinamento del dibattito istituzionale e del mondo dell’informazione sulle migrazioni si sarebbe fermato, si è illuso non poco.
Il primo luglio inizierà il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea: l’instabilità politica crescente in Libia, in Siria e in altri paesi dell’Africa Sub-Sahariana e la connessa crescita degli arrivi di profughi e migranti via mare spingeranno il Ministro dell’Interno ad amplificare gli allarmi di ogni genere per rivendicare una maggiore “ripartizione degli oneri e delle responsabilità” in materia di immigrazione e asilo a livello comunitario.
All’inizio è stata usata vergognosamente la strage di Lampedusa del 3 ottobre per rivendicare un maggiore impegno di Frontex nel controllo delle frontiere. Poi è stato evocato il pericolo dell’“invasione”: «Secondo le nostre informazioni tra 300mila e 600mila persone sono dall’altra parte del Mediterraneo, nella riviera nord dell’Africa, ad aspettare di transitare prima o poi. Si tratta di persone che molto spesso finiscono nelle mani dei trafficanti di morte» (L’Unità, 3 aprile 2014).
Adesso siamo entrati in una nuova fase: quella dell’allarme terrorismo. E naturalmente la stampa, anche solo scegliendo di riportare nei titoli stralci delle dichiarazioni del Ministro, rilasciate al margine del Vertice europeo che si è svolto ieri dedicato agli affari interni, ci mette del suo.
La politica. Nelle sue dichiarazioni il Ministro non ha evitato di ripetere ciò che dice da mesi: l’Unione Europea dovrebbe “montare un presidio in Africa”, potenziare Frontex nel Mediterraneo e rivedere le politiche sull’asilo tramite “accordi bilaterali tra i paesi che consentano un mutuo riconoscimento del diritto di asilo”. “L’Italia non può pagare da sola l’instabilità politica della Libia”.
E’ indubbio che le modifiche apportate alla Convenzione di Dublino nel 2013 hanno mantenuto irresponsabilmente inalterato il principio secondo il quale il diritto di asilo deve essere richiesto nel primo paese di arrivo. E’ altrettanto indubbio che l’Unione Europea, in particolare i paesi del Nord, hanno evitato di riconoscere che l’instabilità nel Mediterraneo e i flussi di profughi che ne conseguono è una questione europea e non solo italiana o dei paesi del Sud-Europa. Ma è altrettanto vero che l’Italia non si è distinta sino ad oggi per la sua capacità di approntare un sistema di accoglienza degno di questo nome. Che è poi uno dei motivi principali che inducono molti profughi e potenziali richiedenti asilo a fuggire in altri paesi.
Vi è sicuramente il problema di una gestione coordinata delle politiche sull’asilo. Ma non è il solo. E non è certo realisticamente percorribile la strada di far chiedere asilo nei paesi di partenza: in una situazione come quella libica, avanzare questa ipotesi è semplicemente una chimera. Il Ministro lo sa bene e si lascia scappare un “dobbiamo centrare assolutamente l’obiettivo, che è quello di agire in Africa per evitare le partenze”.
In realtà senza una gestione coordinata anche delle politiche migratorie finalizzata a favorire la libera circolazione delle persone, è difficile che si ponga realmente fine a quei “traffici di migranti” sul cui lucro molte cronache amano soffermarsi.
E senza l’approntamento di una sistema di accoglienza nazionale, coordinato e decentrato, l’emergenza è destinata a perpetuarsi.
Difficile che il nuovo euro-parlamento, nel quale partiti e movimenti nazionalisti e xenofobi hanno visto aumentare la loro rappresentanza, decida di andare in tale direzione. E allora il fumo torna utile almeno per tentare di strappare qualche soldo in più: non certo per l’accoglienza, ma per il controllo dei mari e delle frontiere. L’allarme sicuritario e islamofobo fa allo scopo.
L’informazione. C’è chi non si limita all’uso sensazionalistico della titolazione e fa scelte “originali”, tutte finalizzate a cavalcare l’onda del nuovo allarme. Come Il Tempo che scomoda un comandante generale dei Ros per fare il punto sulla lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo. E va giù pesante: “Gli immigrati di terza generazione sono gli eredi di Bin Laden in Italia”. Questo il titolo che sintetizza con qualche forzatura le parole dell’intervistato: <Dopo la morte di Osama Bin Laden, Al Qaeda si è progressivamente rigenerata trasformandosi da organizzazione verticistica che progetta e realizza direttamente attentati terroristici a un network che diffonde l’ideologia jihadista alimentandola attraverso il web. Tale evoluzione ha portato all’affermazione del cosiddetto terrorismo homegrown, riguardante persone nate o cresciute in occidente, quali immigrati di seconda/terza generazione o convertiti.>
L’intervista è di 85 righe, di cui solo 11 parlano di lotta al terrorismo. Ma naturalmente tanto basta per sparare il titolo a tutta pagina.
Ancora diversa la scelta di Quotidiano.net. Anche in questo caso il titolo è tutto un programma. “Bruxelles, capitale di Eurabia. Così nascono i nuovi terroristi”. Punto di partenza l’arresto dell’autore dell’attentato al museo ebraico di Bruxelles.
“Bruxelles è un crocevia. È la nuova capitale di Eurabia, come la chiamano in molti. È la città più islamizzata d’Europa, con il 25% della popolazione originaria di paesi di cultura arabo-islamica. Sono tra 250mila e 300 mila gli islamici a Bruxelles. Vivono e di fatto controllano due dei diciannove comuni costituenti l’area metropolitana: Anderlecht e Molenbeek, a cui si aggiunge parte del comune di Bruxelles-Ville. LE STIME (non sappiamo quali n.d.r.) prevedono un aumento degli arabo-islamici al 10% nel 2020 ed entro lo stesso anno si prevede che l’arabo diventi la seconda lingua a Bruxelles.
Da qui la conclusione: “La forte natura islamica della città finisce per generare pulsioni estremiste.”
L’autore è costretto ad ammettere che non tutti i cittadini di lingua araba o di religione musulmana sono potenziali terroristi: “a Bruxelles in molti entrano in politica e contribuiscono allo spirito civico”. Ma a loro dedica solo due righe.
Intanto l’allarme è servito.