Mary Lawlor, irlandese, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani, con una nota diffusa oggi 8 ottobre, condanna la “criminalizzazione” di 11 difensori dei diritti umani in Italia: Carola Rackete, l’ex capitano della nave di salvataggio Sea-Watch 3, e i 10 membri dell’equipaggio della nave Iuventa. L’appello dell’esperta è stato approvato da Obiora Okafor, Felipe González Morales, relatore speciale sui diritti umani dei migranti, Dubravka Šimonovic, relatore speciale sulla violenza contro le donne, le sue cause e le sue conseguenze, Elizabeth Broderick, presidente-relatore del gruppo di lavoro sulla discriminazione contro le donne e le ragazze. C’è voluto del tempo, ma si tratta di una presa di posizione importante a livello istituzionale.
“I loro sforzi di cercare e salvare vite di migranti e richiedenti asilo in difficoltà nel Mediterraneo dovrebbero essere applauditi”, ha precisato la Lawlor. “Mi dispiace che i procedimenti penali contro di loro siano ancora aperti e che continuino a subire stigmatizzazione per il loro lavoro in difesa dei diritti umani dei migranti a rischio nel Mediterraneo”. Il relatore speciale si riferisce a due casi in particolare.
Il primo relativo all’indagine penale aperta, nel settembre 2016, nei confronti di alcuni membri dell’equipaggio della nave Iuventa della ong tedesca Jugend Rettet. In soli due anni, tra il 2016 e il 2017, la Iuventa aveva salvato 14 mila vite nel Mediterraeo, ma i dieci membri dell’equipaggio finiscono al centro di un’indagine per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Per i magistrati nel corso di alcuni interventi di soccorso ci sarebbero stati dei contatti «tra coloro che scortavano gli immigrati fino alla Iuventa e i membri dell’equipaggio della nave» che di fatto avrebbero organizzato la consegna diretta dei migranti arrivando a restituire ai trafficanti le imbarcazioni vuote affinché potessero essere riutilizzate. Quella sulla Iuventa è la prima inchiesta dopo il varo del Codice di condotta per le ong voluto dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, codice che la Iuventa, insieme ad altre organizzazioni umanitarie, si rifiutò di firmare.
Il secondo caso a cui il relatore fa riferimento, è relativo a Carola Rackete, arrestata dalle autorità italiane il 29 giugno 2019, per aver attraccato, senza permesso, la sua nave con 53 migranti a bordo (noi ne abbiamo parlato anche nel nostro quinto libro bianco sul razzismo in Italia qui). Come è noto, a Carola sono contestati i reati previsti dagli art. 1100 cod. nav. (Resistenza o violenza contro nave da guerra) e art. 337 cod. pen. (Resistenza a pubblico ufficiale) per avere usato atti di resistenza e di violenza contro una motovedetta della Guardia di finanza e del proprio equipaggio. La mancata convalida dell’arresto è, poi, motivata dal GIP sulla base dell’insussistenza del primo fatto, per l’impossibilità di riconoscere nella motovedetta italiana il requisito di “nave da guerra” richiesto dalla norma, e sulla base della mancanza del requisito dell’antigiuridicità del secondo fatto, per essere stato commesso in presenza della causa di giustificazione dell’adempimento del dovere di soccorso in mare (art. 51 c.p.).
Oggi, nonostante per la nave Iuventa sia stata depositata una mozione per l’archiviazione dell’indagine penale preliminare, si è ancora in attesa di una decisione formale. Amnesty International, a tale proposito, ha lanciato in agosto la campagna di solidarietà «Iuventa 10» nei confronti dei 10 membri dell’equipaggio sotto inchiesta che rischiano fino a 20 anni di carcere.
E nonostante la Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2020 dep. 20 febbraio 2020, n. 6626, Pres. Lapalorcia, Est. Gai, ric. Rackete), abbia stabilito che la capitana non avrebbe dovuto essere arrestata, giudicando corretta la prospettazione delineata dell’ordinanza del GIP, Carola Rackete “continua ad affrontare accuse” e, anche lei, come i 10 membri della Iuventa, “rischia fino a 20 anni di reclusione e multe varie fino a 50.000 euro”.
“Il governo italiano – conclude la relatrice Lawlor – deve riconoscere pubblicamente l’importante ruolo dei difensori dei diritti umani nella protezione del diritto alla vita dei migranti e dei richiedenti asilo a rischio nel Mediterraneo e porre fine alla loro criminalizzazione”.
Dal 2014, lo ricordiamo, almeno 16.000 migranti hanno perso la vita nel Mediterraneo, secondo i dati di “Missing migrants” dell’Oim.