L’attentato terroristico al museo del Bardo del 18 marzo scorso, a Tunisi, è ancora vivo nel ricordo. Per diverse ore, i terroristi tennero in ostaggio circa 200 turisti. Nell’attacco, rivendicato dal cosiddetto “Stato Islamico”, morirono, oltre a un agente e due terroristi, 21 turisti stranieri, tra i quali quattro italiani.
Una settimana fa, il 19 maggio, viene arrestato a Gaggiano, nel milanese, Abdel Majid Touil, cittadino marocchino di 22 anni. Secondo le autorità italiane (e anche tunisine), avrebbe partecipato all’attentato commesso al Bardo sia “nella fase di pianificazione che in quella esecutiva”. Lo precisa il dirigente della Digos di Milano, Bruno Megale, accusandolo di vari capi di imputazione, che spaziano dall’attentato terroristico all’omicidio volontario e sequestro di persona a mano armata, fino alla cospirazione contro lo Stato tunisino e al reclutamento di terroristi.
Tuttavia, la faccenda in sé è molto delicata e inviterebbe alla più assoluta cautela. Se non altro perché sono ancora in corso le indagini della magistratura che deve ancora ricevere le “carte” tunisine (comprovanti la sua assoluta colpevolezza): dunque per ora si tratta per lo meno di un “presunto” terrorista.
E invece, all’indomani del fermo, viene data subito la notizia alle agenzie e convocata una conferenza stampa a Milano. Il Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, parla di “successo investigativo” e in un’informativa alla Camera dichiara: “Mai escluso che l’Italia non sia a rischio terrorismo”, anzi abbiamo sempre detto che l’allerta è elevatissima, anche sull’uso dei barconi per l’infiltrazione di terroristi, pur se finora mancavano riscontri. Touil non era considerato pericoloso o a rischio di terrorismo né dalla polizia tunisina né da quella italiana. Solo dopo la strage del Bardo, Touil assume il profilo di terrorista. Sia Aisi sia Aise ne inseriscono il nome tra i sospettati mentre il tribunale tunisino emette mandato di arresto internazionale”. E trascina nell’“entusiasmo generale” anche altri membri del nostro Parlamento, compreso il presidente del Consiglio Renzi, che twitta prontamente le sue congratulazioni per l’operazione riuscita.
Sui social network è tutto un pullulare di commenti oscillanti fra l’esaltazione delle Forze dell’ordine e le richieste di chiusura immediata delle frontiere. Il 20 maggio, su Facebook l’immancabile Matteo Salvini scrive: “Tre giorni fa un consigliere del governo libico denunciò che i TERRORISTI dell’Isis stanno partendo per l’Italia sui barconi. Stanotte un terrorista marocchino, coinvolto nella strage del Museo di Tunisi, è stato arrestato vicino a Milano. FERMARE PARTENZE e SBARCHI e controllare le frontiere, subito!”. Ed è chiaro che a questa forzata proclamazione di arresto, seguono i soliti fiumi di inchiostro e di parole.
Ne abbiamo parlato più volte sottolineando come, sempre più spesso, la cronaca venga utilizzata da numerosi politici come un veicolo di campagna elettorale low cost (ma ad alto impatto mediatico) e come i mass media, nell’affannosa corsa alla “Notizia”, siano perfettamente parte integrante di questo perverso sistema, al quale si aggiungono poi anche i social. Un gran calderone politico-mediatico parte dai titoli “etnicizzanti” e carichi di pregiudizi (il “marocchino terrorista”, per intenderci), passa attraverso ricostruzioni anche abbastanza fantasiose (scavando meticolosamente e morbosamente nella vita privata del giovane, non tenendo conto minimamente del rispetto della privacy, e speculando sugli stereotipi costruiti su presunte abitudini), per arrivare ad essere cavalcato, attraverso i social, dal politico di turno (a questo proposito ci viene in mente, fra i tanti, il caso di Mohamed Fikri, coinvolto nell’omicidio Gambirasio nel 2010).
Un invito alla cautela viene in questo caso dall’analisi pubblicata da Repubblica.it e da qualche altro sparuto quotidiano online, che almeno si preoccupano di non peccare di “presunzione”, né si abbandonano a facili equazioni che banalizzano il contenuto di qualunque analisi dei fatti (vedi marocchino/terrorista, musulmano/terrorista, o immigrazione/sbarchi/ terrorismo, e cosi via). Non fosse altro perché ci sono realmente delle falle enormi da colmare in quest’indagine, e molti punti da chiarire.
Abdel Majid Touil viene identificato a febbraio, un mese circa prima dell’attentato, a Porto Empedocle, dopo essere sbarcato, insieme ad altre 90 persone, da un barcone. In quest’occasione, Touil riceve un decreto di espulsione che non rispetta. Su come e quando sia entrato in Tunisia (dopo essere arrivato in Italia rischiando la vita su un barcone), e soprattutto su come abbia fatto a rientrare in Italia dopo aver partecipato all’attentato, resta un mistero. A maggior ragione, è necessario un sano esercizio cartesiano del dubbio.
Le autorità tunisine, pur non smentendo il proprio lavoro di “intelligence”, dicendo di avere “prove certe”(che però tardano ad arrivare), fanno un passo indietro accusando Touil di aver giocato «un ruolo importante relativo alla logistica» e «una rilevante partecipazione indiretta» (quindi non più diretta); le autorità italiane, dopo l’autogol, se ne lavano le mani, deresponsabilizzandosi pur avendo sollevato il polverone ( “Lo deciderà la magistratura”, ha dichiarato ieri sera il ministro dell’Interno, Angelino Alfano).
Mentre Touil resta nel super-carcere di Opera, in isolamento.
L’informazione, dal canto suo, ha scritto un’ennesima pagina nera, rincorrendo in maniera spasmodica il “mostro” da mettere in prima pagina o un “colpevole” a tutti i costi e a buon mercato. L’importante è far saltare fuori un testimonial: ovviamente l’immigrato “clandestino” alla Touil, che simula persino di “integrarsi” con dei quaderni di una scuola d’italiano: è un’occasione fenomenale per i tanti “teorici dell’invasione”.
Il suo caso diventa un pretesto per dire no all’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo, alla costruzione di luoghi di culto per i fedeli musulmani, alla riforma della cittadinanza per i figli degli immigrati nati o cresciuti in Italia, e cosi via.
Il rischio in questo tipo di speculazioni è sempre lo stesso: colpevolizzare e stigmatizzare una intera comunità (in questo caso, nazionale e religiosa), a partire da una storia che è ancora tutta da chiarire utilizzandola per vomitare accuse sui migranti in generale. La diffusione di una nuova campagna di messaggi di odio nel dibattito pubblico reale e virtuale e l’incoraggiamento di atteggiamenti di intolleranza e di discriminazione ne costituiscono il corollario purtroppo ormai scontato e “ordinario”.