La lista di proscrizione online a Bologna e la censura contro la consigliera comunale “straniera” a Reggio Emilia. Il prossimo 26 gennaio la Regione Emilia-Romagna andrà alle urne e la destra xenofoba ci sta facendo capire bene come intende affrontare la campagna elettorale.
A Bologna, Galeazzo Bignami e Marco Lisei, deputato e consigliere comunale di Fratelli d’Italia, hanno avviato una diretta Facebook nella quale hanno dato nome e indirizzo di cittadini stranieri a cui è stata assegnata una casa popolare nel quartiere della Bolognina. Una clamorosa violazione della privacy di queste persone. Una gogna mediatica immotivata che ricorda momenti bui. Queste famiglie assegnatarie, che evidentemente sono residenti, lavorano, pagano le tasse, vengono additati come profittatori. E messe in competizione con gli italiani. Come se la casa non fosse un diritto di ciascuna persona.
I due esponenti del partito di estrema destra hanno ripetuto quanto fatto dai nazionalisti nostalgici di Franco di Vox in campagna elettorale. Il partito falangista, infatti leggeva nei suoi comizi i nomi di assegnatari stranieri. Viene da chiedersi se e quando si arriverà a segnare con la vernice le porte di casa degli stranieri. Del resto Galeazzo Bignami era già diventato famoso quando nel 2016 erano circolate sue foto in divisa nazista e con le bandiere naziste e della RSI sullo sfondo. Naturalmente era una “goliardata”. Questi esponenti della destra razzista si divertono a travestirsi da aguzzini sterminatori di ebrei, Rom e omosessuali.
I due politici in campagna elettorale hanno spiegato nella loro diretta che “Ci diranno che stiamo violando la privacy, ma non ce ne frega assolutamente nulla, perché se stai in un alloggio popolare e c’è il tuo nome sul campanello bisogna che ti metta nell’ottica che poi qualcuno può andare a vedere”. E invece no: ciascuno ha diritto a non essere messo alla gogna sui social network. E infatti l’avvocato e attivista di Bologna Cathy La Torre ha fatto un esposto al garante per la privacy – su twitter il testo e qui la modulistica per farlo.
La censura a Marwa Mahmoud
Diverso l’episodio capitato a Reggio Emilia dove contro la consigliera comunale Marwa Mahmoud è stata presentata una mozione di censura. Mahmoud è presidente della commissione diritti umani del Comune e non sarebbe imparziale. Perché? Semplice: in una mozione ha citato la strage di musulmani a Srebrenica e ha votato contro la mozione leghista che chiede la cancellazione di via Maresciallo Tito. Citare Srebrenica significa voler difendere solo i musulmani.
La verità, inutile sottolinearlo, è che Marwa è di origini egiziane. Questa la sua colpa e questo è il tipo di propaganda che la Lega si avvia a portare avanti: seminare odio e voglia di rivalsa contro i nemici stranieri. Reggio Emilia è una realtà di immigrazione da tanti anni, la popolazione straniera è inserita stabilmente – come mostra proprio l’elezione di Mahmoud – ed è attorno al 16%, ma è in calo a partire dal 2013. Nessuna invasione in corso, insomma. Come al solito.
La settimana degli orrori
I casi emiliano-romagnoli sono solo gli ultimi di un periodo in cui è avvenuto un salto di qualità nei comportamenti della destra estrema – chiamiamo così anche Lega e Fratelli d’Italia. C’è stato il voto contro la commissione Segre e ci sono stati gli insulti e la decisione di garantire una scorta alla senatrice a vita. A Spinea, comune del Veneto, la Lega ha presentato una mozione nella quale si chiede di rimuovere i “libri gender” dalle biblioteche. Il testo, un distillato di ideologia improbabile, parla della globalizzazione e del 1968. Questi episodi, il voto contro la commissione Segre, le minacce alla senatrice a vita ebrea, sono più che un campanello d’allarme. La destra estrema – che comprende Lega e Fratelli d’Italia – ha scelto la guerra culturale e la rivendicazione di ideologie e pensieri che ricordano il passato. Non siamo più “solo” alla agitazione dell’invasione degli stranieri, non siamo di fronte all’alimentare la guerra tra poveri. Siamo molto oltre. Siamo in un terreno molto pericoloso.
(Martino Mazzonis)