Dodici bambini sono morti, annegati nelle acque che separano la Grecia dalla Turchia. Nonostante l’assenza di fotografie sulle prime pagine dei giornali, o di immagini su Facebook, la strage continua. Una strage in cui anche i bambini perdono la vita, ma non solo. Oggi, tra l’isola greca di Farmakonissi e le coste turche, un’imbarcazione con a bordo circa 50 persone è affondata: 12 persone hanno perso la vita, tra cui 6 bambini. Nella tragica conta a cui drammaticamente dovremmo essere abituati mancano ancora tredici persone, disperse.
Ieri, altri sei bambini hanno perso la vita. Il gommone su cui viaggiavano insieme ad altri cittadini afghani come loro è affondato tra l’isola greca di Chios e la città turca di Cesme. Tra loro un neonato. Il più grande aveva dodici anni.
Non sono macabri dettagli scelti per sollecitare quella telegenia dell’orrore di cui parla Medici senza frontiere nel suo ultimo dossier sulle stragi dimenticate da media. Sono elementi che ci aiutano a comprendere, se mai ce ne fosse bisogno, il dramma quotidiano che si sta compiendo da anni sotto gli occhi di tutti noi, nell’inerzia delle istituzioni europee che pure potrebbero fare qualcosa per fermare questa strage. Istituzioni che, in realtà, non sono inermi: ma il cui operato va esattamente nella direzione opposta a quella giusta e che dovrebbe scegliere come priorità la salvezza delle persone.
Chiusura delle frontiere, accordi con i paesi terzi per rimpatriare le persone, costruzione di muri, polizia ai confini. Tutto per impedire l’ingresso delle persone, ma niente -perlomeno niente di efficace- per evitarne la morte, anche in tratti di mare di ridotte dimensioni: Cesme e Chios, dove hanno perso la vita i sei bambini afghani, distano solo un miglio, circa venti minuti di viaggio in traghetto. Perché i mezzi europei, che proprio da ieri mattina hanno iniziato a pattugliare questo tratto di mare -come ricorda Rachele Gonnelli su Il Manifesto – non sono intervenuti? Il motivo alla base potrebbe essere che, come abbiamo già ricordato più volte, l’obiettivo di Frontex non è salvare vite ma controllare le frontiere. E anche le gravi operazioni denunciate da Human Rights Watch potrebbero inscriversi in un progetto di chiusura dei confini europei. Secondo le testimonianze raccolte dalla ong, uomini coperti da passamontagna a bordo di motoscafi provenienti dalle coste turche attaccherebbero le imbarcazioni con a bordo i migranti diretti verso l’Europa, intimando l’alt, colpendo le persone e mandando a picco i gommoni.
Una denuncia che pesa moltissimo, soprattutto dopo gli accordi stretti tra Turchia e Unione europea, in cui i migranti sono di fatto diventati merce di scambio: L’Europa ha concesso ad Ankara 3 miliardi di euro, di fatto per mantenere i migranti all’interno della Turchia ed evitare che arrivino in Europa.
Nel frattempo, sono 3200 le persone che hanno perso la vita nel 2015 -considerando solo la rotta del Mediterraneo-, secondo i dati diffusi dalla Fondazione Migrantes. Oltre 700 i bambini.