di Francine Filé
Nei giorni scorsi Facebook, in seguito ad un’indagine di Avaaz, ha chiuso 23 pagine italiane con oltre 2,46 milioni di follower che condividevano informazioni false e contenuti d’odio contro i migranti, antivaccini, e antisemiti, di cui oltre la metà a sostegno di Lega e Movimento 5 Stelle.
I social media sono diventati per un vastissimo pubblico l’unica fonte e forma di notizie presa in considerazione e la politica ne ha fatto uno dei principali strumenti di comunicazione. Siti d’informazione e blog, di destra e non, spesso speculano in rete, strumentalizzando e ritoccando le notizie sui casi di cronaca quotidiana. Lo stesso rapporto di Avaaz è molto ampio e ha individuato altre 80 pagine che avrebbero violato le regole di Facebook.
La presenza di notizie false nel discorso politico non è nuova, ma rispetto al passato la scala e la diffusione sono cambiati in modo significativo. I media digitali permettono una velocizzazione dei flussi informativi, la disintermediazione tra fornitore e fruitore dell’informazione, consentono ad ogni individuo di partecipare direttamente allo scambio delle notizie, e permettono di farlo in modo anonimo, occultando la propria identità. Il filtro della distanza a cui avviene la comunicazione, unito all’anonimato permesso dal web, ha una funzione disinibitoria per quanto riguarda espressioni e comportamenti, e il diffondersi di fake news può provocare danni concreti e generare un’escalation di violenze.
Il comportamento delle persone riguardo le fake news è oggetto di ricerca. I social network facilitano la selezione di amici e di informazioni che aderiscono al nostro sistema di idee, portando alla formazione di eco chambers, comunità chiuse in cui ci si scambiano informazioni fra simili, senza lasciare posto ad altro che non sia già ciò che ci interessa. Tutto ciò che è all’interno della nostra bolla informativa non fa che confermare i confini della bolla stessa, si tratti di informazioni vere o false, ed esclude tutto ciò che ne rimane fuori, rafforzando le nostre convinzioni e rassicurandoci sulle nostre idee, spesso prescindendo da ogni riscontro dei fatti.
Le fake news si inseriscono in narrazioni esistenti e un fattore chiave notato nell’accettazione o nel rifiuto di certe idee o informazioni è la plausibilità narrativa. Le narrazioni sono alla base della costruzione identitaria dei gruppi e le eco chambers agevolano la produzione di gruppi frammentati e polarizzati intorno a diverse narrazioni.
Non c’è un’evidenza che le fake news siano in grado di determinare decisioni elettorali o fatti politici rilevanti nelle democrazie occidentali. Sappiamo che esse si diffondono più facilmente e velocemente delle notizie vere, ma questo non determina necessariamente uno spostamento di voti o di opinioni, proprio perché i meccanismi di diffusione di queste notizie contano su reti preesistenti di interlocutori che già condividono orientamenti politici e sistemi di idee.
I metodi per contrastare la disinformazione possono mirare a modifiche strutturali delle piattaforme per prevenire l’esposizione alle notizie false in primo luogo o a formare gli utenti a valutare le notizie che incontrano.
Le stesse piattaforme che ne permettono la diffusione devono fronteggiare e misurarsi con il fronte delle fake news, per evitare di perdere credibilità̀. Il recente scandalo di Cambridge Analytica ha portato l’attenzione sulla possibilità di manipolare l’opinione pubblica e sulla disinformazione sistematica a uso propagandistico e ai gestori dei social network viene richiesta maggiore trasparenza, responsabilità e controllo. In seguito all’annuncio di chiusura delle 23 pagine, Facebook non ha spiegato apertamente i motivi, probabilmente dovuti ad alcune violazioni alle Condizioni d’Uso della piattaforma segnalate da Avaaz, come cambi di nome fuorvianti, l’utilizzo di profili falsi, la promozione di contenuti d’odio e comportamenti non autentici delle pagine. La censura mirata è impossibile, e i Social Network e i principali motori di ricerca nonostante le misure adottate, sembrano incontrare difficoltà e devono ricorrere a gruppi esterni che monitorano le informazioni in circolazione.
I tentativi per limitare il diffondersi della disinformazione attraverso fact checking e debunking spesso non sono efficaci. Immettere grandi quantità di informazioni corrette o smontare le informazioni circolanti, non è di per sé garanzia di un cambio di atteggiamento; al contrario un numero maggiore di prospettive può produrre maggiore scetticismo verso le informazioni.
Combinare tecnologie, strumenti e strategie in un approccio a lungo termine per creare una cultura dell’informazione e sensibilizzare riguardo alle conseguenze della circolazione della disinformazione può contribuire a creare le condizioni per la formazione di un sistema di relazioni inclusivo e solidale tra soggetti responsabili, consapevoli di essere soggetti attivi e partecipi nella e della rete, in grado di saper selezionare le informazioni.
L’educazione ai media, su cui si sta concentrando l’attenzione soprattutto in campo educativo, può fornire agli individui gli strumenti per usare opportunamente i mezzi di comunicazione, mantenendo il più ampio possibile il proprio orizzonte informativo, ma diversificando le modalità di approccio alle informazioni e di verifica delle fonti. E se il contrasto della disinformazione è tutt’altro che vicino alla soluzione, riflettere sui contenuti delle informazioni, analizzarli criticamente ed imparare a verificare autonomamente le notizie e le fonti che circolano online è il primo passo per promuovere un uso consapevole della rete.