Pubblichiamo qui di seguito un documento redatto dal Consiglio direttivo ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) su “Le nuove iniziative del Governo italiano per contrastare l’arrivo dei rifugiati dalla Libia: ASGI lancia l’allarme sul rischio di gravissime violazioni del diritto internazionale che riportano la stagione buia dei respingimenti per i quali l’Italia era stata già condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo“.
In relazione alle convulse notizie che si susseguono nel corso degli ultimi giorni relativamente ad un sempre maggiore ed esplicito coinvolgimento dell’Italia nelle operazioni di contrasto alla partenza dei migranti e dei rifugiati che fuggono dalla Libia e si dirigono verso l’Europa via mare, l’ASGI richiama con forza l’attenzione del mondo politico e della società italiana sui serissimi rischi a carico del nostro Paese per possibili gravi violazioni del diritto internazionale, del diritto dell’Unione e del diritto interno. In particolare ASGI intende evidenziare quanto segue.
1) Nonostante per effetto della Risoluzione 2259 (2015) del Consiglio di sicurezza, l’attuale governo libico guidata da Al-Serraj abbia ottenuto una legittimazione internazionale, si tratta indubbiamente di un Governo completamente privo di effettività e, quindi, di dubbia legittimità. Non solo gran parte del territorio libico non è sotto il controllo di questo Esecutivo, bensì il Paese è conteso tra ben tre sedicenti Governi; in nessuna area della Libia sussiste un sistema giuridico effettivo che permetta di assicurare un minimo livello di sicurezza nel territorio, garantire l’azione penale indipendente nei confronti dei presunti trafficanti di esseri umani e tutelare i fondamentali diritti umani dei cittadini di paesi terzi. Neppure sussiste alcuna minima garanzia che siano evitate, per coercizione o corruzione, commistioni profonde tra autorità statali e milizie irregolari nella gestione di incarichi pubblici e ciò ovviamente riguarda anche la assai incerta linea di demarcazione tra le organizzazioni criminali dedite al traffico dalle autorità statali preposte al controllo dell’immigrazione e al pattugliamento del mare interno. Nell’impiegare ingenti risorse dello Stato (e quindi dei cittadini) per il sostegno di formazioni libiche l’attuale Governo italiano dovrebbe senza dubbio tenere una condotta assai più prudente rispetto a quella attuale soprattutto qualora dette risorse siano finalizzate a condurre attività inerenti il controllo militare del territorio e la gestione dei flussi migratori.
2) Tanto le norme in materia di soccorso alle persone in mare quanto quelle relative al contrasto alla tratta di esseri umani impongono agli Stati il rispetto degli obblighi derivanti dal diritto internazionale in materia di rifugiati, tra i quali il “principio di non respingimento”. Il salvataggio, con rinvio in Libia, dei migranti che da detto Paese stanno fuggendo, viola le convenzioni internazionali sul soccorso in mare perché nessun porto libico può attualmente essere considerato “luogo sicuro” ai sensi della Convenzione per la ricerca e il soccorso in mare del 1979 (SAR) . Si ricorda infatti che in base alle Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare Risoluzione MSC.167(78) (adottate nel maggio 2004 dal Comitato Marittimo per la Sicurezza insieme agli emendamenti SAR e SOLAS) un luogo sicuro è considerato:
a) una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata;
b) le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte;
c) può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale.
Nessuna di dette condizioni può essere soddisfatta in Libia sia in ragione dello stato di guerra civile in cui versa il Paese, sia in ragione della radicale mancanza di qualsiasi possibilità di garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali ai cittadini dei paesi terzi che si trovano in Libia e a coloro che vi vorrebbero chiedere protezione internazionale (vedasi punto 3)
E’ ben vero che spesso i salvataggi avvengono appena fuori dalle acque libiche, dove non è chiara di chi sia la competenza ad operare le azioni. Tuttavia va sottolineato che l’Italia ha unilateralmente assunto la responsabilità delle operazioni SAR in zona libica, come riconosciuto dalla Relazione finale dell’indagine conoscitiva del Senato della Repubblica “ A seguito del collasso della Libia – con la quale comunque non c’era un accordo di delimitazione – l’Italia ha poi iniziato a farsi carico dell’intero spazio marittimo del Mediterraneo centrale, fino al confine delle acque territoriali libiche. Tutti gli assetti ivi presenti sono così coordinati, ai fini SAR, dall’IMRCC di Roma, che riceve informazioni sia da chiamate dirette dal natante in difficoltà a mezzo di telefono satellitare, sia da segnalazioni a seguito di avvistamenti da parte di altri assetti aeronavali presenti nell’area (militari, mercantili, ONG o altro).
Si è trattato di una scelta del tutto conforme al diritto internazionale, che ha reso onore alla tradizione umanitaria del nostro Paese e che oggi non può essere abbandonata a favore di un approccio diametralmente opposto proprio perché, per le ragioni sopra indicate, la Libia radicalmente non è in grado di assicurare il rispetto di quanto previsto dalla Convenzione SAR.
3) La violazione dei diritti umani nel territorio libico si mantiene da tempo su livelli di inaudita gravità che rendono l’area una delle peggiori zone del mondo. In particolare i cittadini stranieri che si trovano bloccati in Libia e che intendono fuggire da detto Paese per chiedere protezione nell’Unione Europea, non godono di alcun diritto loro riconosciuto e di nessuna tutela giudiziaria, non possono ricevere alcuna forma di protezione come rifugiati non sussistendo alcuna norma di diritto interno che lo preveda, sono oggetto di detenzione arbitraria nelle carceri, in condizioni disumane e in generale sono oggetto di violenze sistematiche.
I rapporti internazionali indipendenti ed autorevoli che evidenziano tale drammatica situazione sono numerosi e concordi nel delineare uno scenario devastante. In base alla normativa libica, tutti i migranti e richiedenti asilo privi di documenti, che vengono salvati in mare e riportati in Libia, sono detenuti per ingresso illegale (legge n. 19/2010).
Negli ultimi giorni, più di 800 migranti soccorsi in mare dalle autorità libiche, inclusi bambini, sono stati arrestati .Come documentato dalle Nazioni Unite (Lettera del 1 giugno 2017 del Panel of Experts on Libya al Consiglio di Sicurezza http://undocs.org/S/; United Nations Support Mission in Libya, OHCHR, “Detained and dehumanized – Report on human rights abuses against migrants in Libya”, 13 dicembre 2016) e da numerose organizzazioni internazionali (si veda ad es. Amnesty international, Europe: a perfect storm: the failure of european policies in the central Mediterranean, 6 july 2017), nei centri di detenzione libici si riscontrano gravissime violazioni dei diritti fondamentali delle persone, private di cibo, acqua e assistenza sanitaria e costrette in spazi insufficienti addirittura per sdraiarsi. Numerosissimi i casi di torture ed estorsioni perpetrate dalle guardie, nonché di stupri e altre violenze nei confronti dei migranti e richiedenti asilo. Il Dipartimento di Contrasto all’Immigrazione Illegale e la Guardia Costiera, sono direttamente coinvolti in queste gravissime violazioni dei diritti umani (Panel of Experts on Libya, par. 104). Come già evidenziato, non risulta pertanto possibile operare alcuna reale distinzione tra i diversi agenti delle violenze che vengono perpetrate tanto dalle diverse milizie armate che dalle sedicenti autorità governative.
Il Commissario UNHCR per i Rifugiati, Filippo Grandi, a seguito di una visita di monitoraggio nelle carceri libiche avvenuta a maggio 2017 si è detto “ letteralmente scioccato dalle condizioni in cui sono detenuti migranti e rifugiati” e come ha successivamente evidenziato Vincent Cochetel, inviato speciale dell’UNHCR per la rotta del Mediterraneo centrale “In Libia non ci sono centri per i migranti, ma solo prigioni, alcune controllate dalle autorità, altre da milizie e trafficanti, e sono in condizioni orribili”
La gravità della situazione ha portato il Procuratore della Corte penale internazionale a considerare l’apertura di un’inchiesta su tali situazioni (v.Thirteenth Report to the United Nations Security Council pursuant to UNSCR 1970 (2011), 8 maggio 2017, parr. 22-26).
A livello italiano, infine, sono in corso diversi procedimenti a carico degli autori delle gravissime violenze perpetrate nei campi libici. In particolare, in un processo che si sta celebrando presso la Corte d’assise di Milano, e nel quale ASGI è costituita parte civile, la Pubblica accusa ha fatto emergere un quadro di inaudita violenza (violenze sessuali ripetute, omicidi di coloro che non ricevono dai familiari il denaro richiesto dai trafficanti, torture, addirittura esposizione dei corpi dei soggetti morti dopo le torture per ottenere effetto deterrente). Questo ed altri processi, relativi a fatti commessi all’estero da cittadini stranieri, si celebrano in Italia, come previsto dal codice di procedura penale, perché il ministro della giustizia ha fatto richiesta di procedere considerata la gravità dei fatti: eppure, nonostante la consapevolezza così dimostrata di quanto accade in Libia, le politiche governative mirano ad aumentare il numero dei soggetti che in tali luoghi dell’orrore devono soggiornare.
4) Nell’adottare scelte di collaborazione con le autorità libiche provvisorie rappresentate dal Governo di Al-Serraj il Governo italiano non può ignorare i sopraccitati rapporti (che costituiscono altresì una mera selezione tra l’enorme mole di documentazione disponibile e di segno concorde). In particolare le autorità italiane sanno ovvero debbono sapere che non esistono garanzie sufficienti a tutelare i migranti dal rischio di essere esposti in Libia a torture e a trattamenti disumani e degradanti vietati dalla CEDU (art. 3) ovvero dal rischio concreto di essere rinviati arbitrariamente nei loro Paesi di origine, tenuto conto in particolare dell’assenza di una procedura che permetta ad un cittadino di un paese terzo di chiedere ed ottenere lo status di rifugiato previsto dalla Convenzione di Ginevra. L’Italia deve pertanto rigorosamente astenersi da ogni azione che, direttamente o indirettamente, possa arrecare gravi violazioni alla vita, alla sicurezza e alla dignità dei migranti presenti in Libia.
Agire a sostegno dell’attuale provvisorio Governo libico, sostenendo azioni che hanno come obiettivo, o comunque come effetto, quello di riportare in detto Paese i migranti che da esso stanno fuggendo costituirebbe una scelta inaudita da parte di un Paese avente un solido ordinamento democratico, nonché membro della UE.
Si tratterebbe infatti di una scelta che si pone in profonda divergenza con l’evoluzione del diritto internazionale che ha portato all’adozione della Convenzione ONU contro la Tortura e della Convenzione di Ginevra sui Rifugiati del 1951 nonché, in Europa, della CEDU e del sistema comune di asilo.
5) Purtroppo il quadro che si sta configurando, a seguito delle recenti dichiarazioni rese dal Ministro dell’Interno italiano e di altri autorevoli esponenti politici dell’Esecutivo attuale, appare ancor più grave rispetto al sostegno promesso al Governo libico di mezzi e risorse atte ad attuare azioni di contrasto alla fuga dalla Libia di migranti diretti verso l’Europa. Il Governo italiano ha infatti annunciato di volere addirittura inviare direttamente propri uomini e mezzi per operare, a fianco delle autorità libiche, e in acque territoriali libiche o persino sulla terraferma al fine di contrastare la fuga dei migranti.
Per comprendere le ragioni in base alle quali si ritiene che detta eventuale scelta porterebbe a gravissime conseguenze, va ricordata la storica sentenza della Corte europea dei diritti umani nella causa Hirsi Jamaa e altri c. Italia, Sentenza della Grande Camera, Strasburgo, 23 febbraio 2012 ricorso n. 27765/09) che ha condannato l’Italia per la nota vicenda dei respingimenti in acque internazionali ordinati dall’allora Ministro Maroni . In quella occasione, rispondendo alle deboli difese del Governo italiano la Corte evidenziò in particolare come “ Sin dal momento in cui uno Stato esercita, tramite i propri agenti operanti fuori del proprio territorio, controllo e autorità su un individuo, quindi giurisdizione, esso è tenuto, in virtù dell’articolo 1, a riconoscere a quell’individuo i diritti e le libertà enunciati nel titolo I della Convenzione pertinenti al caso di quell’individuo” (paragrafo 74)
Con modalità diverse ma non troppo dissimili il cupo scenario che ha portato alla condanna dell’Italia solo pochi anni fa rischia pertanto di ripetersi. Si ritiene infatti, alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale adottata dalla Corte nella citata causa Hirsi, che qualora l’Italia dovesse partecipare attivamente, con propri mezzi e uomini, ad operazioni condotte dentro o fuori dalle acque libiche, finalizzate a respingere i migranti e a ricondurli in Libia, si configurerebbe la responsabilità internazionale dell’Italia per violazione del divieto di refoulement (art. 33 Conv. di Ginevra) e degli analoghi obblighi derivanti dalla CEDU.
6) Le azioni di contrasto alla fuga dei migranti che il Governo italiano intende condurre in collaborazione con il Governo provvisorio libico vengono sovente presentate come parte integrante di una più ampia strategia per combattere il traffico internazionale di migranti via mare.
ASGI evidenzia come il contrasto all’immondo traffico di migranti non solo sia pienamente conforme al diritto internazionale, ma debba senza dubbio essere considerato una assoluta priorità, al pari del soccorso umanitario e della protezione internazionale dei rifugiati.
Si richiama l’attenzione su quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale, sottoscritta nel corso della Conferenza di Palermo del settembre 2000, nonché da quanto previsto nel Protocollo addizionale alla citata Convenzione, adottato a New York il 15.11.2000 per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, atti ratificati e resi esecutivi con legge 16 marzo 2006 n. 146. La Convenzione e il Protocollo hanno tra i loro compiti essenziali, accanto a quello della repressione del fenomeno criminale, a pari livello quello della protezione dei migranti oggetto del traffico. Infatti “ogni Stato Parte prende, compatibilmente con i suoi obblighi derivanti dal diritto internazionale, misure adeguate, comprese quelle di carattere legislativo se necessario, per preservare e tutelare i diritti delle persone che sono state oggetto delle condotte di cui all’articolo 6 del presente Protocollo, come riconosciuti ai sensi del diritto internazionale applicabile, in particolare il diritto alla vita e il diritto a non essere sottoposto a tortura o altri trattamenti o pene inumani o degradanti.(Protocollo, art. 17)
Nessuna operazione di contrasto al traffico può quindi essere condotta dalle autorità libiche da sole o in collaborazione con quelle italiane o di qualunque altro Paese, senza che venga parallelamente garantita la sicurezza e i diritti delle persone coinvolte nel traffico, ovvero il loro trasporto in un luogo sicuro dove siano protetti dal rischio di tortura e dove, se lo richiedono, possono accedere alla protezione internazionale. Per le ragioni esposte nei paragrafi precedenti non risulta possibile garantire l’esercizio di detti diritti fondamentali riportando in Libia i migranti salvati nel corso di operazioni volte a combattere il traffico.
Alla luce di quanto sopra ASGI ritiene illegittima ogni forma di collaborazione con il governo libico di Al-Serraj (o con altre fazioni militari) tesa ad attribuire a quest’ultimo il compito di soccorrere/bloccare/detenere degli esseri in umani che transitano in Libia e che sono diretti in Europa. L’Italia ha altresì l’obbligo giuridico di non contribuire in alcun modo alla detenzione e alla tortura di alcun essere umano, così come invece accade sistematicamente agli uomini e alle donne che vengono intercettate (e “soccorse”) dalla guardia costiera libica o dalle altre milizie libiche.
11 agosto 2017