La prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza depositata il 18 giugno 2018, n. 16048 del 30 novembre 2017, respinge il ricorso del Comune di Adro (Brescia) che, dopo aver escluso in modo illegittimo e discriminatorio i cittadini stranieri dalla possibilità di beneficiare del contributo comunale all’affitto per le famiglie a basso reddito (il cosiddetto “bonus affitti”, ovvero un fondo per il contributo integrativo all’affitto), aveva preteso di “ripristinare” l’uguaglianza sottraendo i soldi ai cittadini italiani, per una sorta di “equa redistribuzione”. Il ricorso è stato giudicato inammissibile e il Comune è stato condannato al pagamento delle spese processuali.
Si è giunti finalmente al capolinea di una vicenda lunga e complessa cominciata nel 2009 (periodo di maggiore diffusione dei provvedimenti comunali discriminatori, altrimenti noti come “ordinanze creative”, e noi ne abbiamo parlato ampiamente nelle prime due edizioni del libro bianco sul razzismo in Italia, qui), che ha visto come principale protagonista Adro e il suo sindaco “sceriffo”, Oscar Lancini (da poco nel Parlamento europeo), già noto per la negazione della mensa scolastica ai bambini di famiglie morose, per i «soli delle alpi» pitturati sulla scuola intitolata a Miglio, il bonus bebè (tutte cause perse poi in giudizio).
Il Tribunale di Brescia, il 23 luglio 2010, accogliendo il ricorso proposto da alcuni cittadini stranieri esclusi dal beneficio, con il supporto dell’Asgi e della Cgil di Brescia, aveva riconosciuto il carattere illegittimo e discriminatorio dell’esclusione dal beneficio del contributo di sostegno alla locazione. Il Comune è stato quindi obbligato a riaprire i termini del bando, ammettendo, quindi, in graduatoria anche i cittadini non comunitari. Senza però rifinanziare il bando. Tuttavia, nel corso del giudizio, il Comune ha rapidamente deliberato per distribuire la somma stanziata ai soli italiani, per poi riconoscere ai discriminati la sola somma che sarebbe stata loro attribuita se lo stanziamento complessivo fosse stato sin dall’inizio suddiviso tra italiani e stranieri. Quindi, i cittadini stranieri, sempre con il supporto delle stesse associazioni, hanno impugnato la decisione e la Corte d’Appello di Brescia ha accolto nuovamente il ricorso, riconoscendo loro il diritto a ricevere la stessa somma già pagata agli italiani. E ciò indipendentemente dal fatto che lo stanziamento di bilancio iniziale fosse stato esaurito. Ma la storia continua. E il Comune avvia le procedure di “recupero” dei soldi versati ai cittadini italiani (27 famiglie, per lo più di pensionati e comunque in disagio economico, ndr) per pagare i bonus riconosciuti ai cittadini stranieri (37 cittadini non comunitari). Il Tar di Lombardia blocca subito l’operazione, affermando “l’irripetibilità delle somme destinate a sopperire a esigenze primarie come il pagamento del canone di affitto”. Il Comune di Adro allora impugna la sentenza della Corte d’Appello (siamo nel 2013), sulla base della rivendicazione di un presunto “potere discrezionale” in capo al Comune stesso, di poter valutare in modo autonomo come ripristinare la parità di trattamento. Infine, la sentenza della Cassazione. La Corte afferma il principio che un Comune può dare ma non può togliere a chi non ha. Ora l’iter giudiziario si è finalmente concluso.
In tutto questo tortuoso percorso, il Comune di Adro, fra tre gradi di giudizio, più un ricorso al Tar, ha mandato in fumo 19 mila euro, senza contare le parcelle degli avvocati. Ora dovrà sostenere qualche pagamento ancora pendente. «Con tutti i soldi che hanno speso avrebbero fatto in tempo a pagare gli stranieri di Adro e anche quelli dei comuni vicini», ha dichiarato l’avvocato Alberto Guariso, che ha seguito la vicenda per l’Asgi e la Cgil, e ora non esclude di segnalarla alla Corte dei Conti.
Ancora una volta la Suprema Corte boccia uno dei molti provvedimenti locali ispirati al principio discriminatorio del “prima gli italiani”. Servirà d’esempio questa volta?