Fa discutere il no del M5S alla proposta di legge approvata ieri dalla Camera sulle “pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio”, contenente anche la depenalizzazione del “reato di ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato” (ne abbiamo parlato qui).
Lo scorso gennaio, il Senato aveva dato il via libera all’abrogazione del reato introdotto nel 2009 con il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, che aveva modificato l’articolo 10-bis del Testo Unico sull’immigrazione. Palazzo Madama aveva infatti approvato l’emendamento presentato dai senatori del Movimento 5 Stelle Andrea Cioffi e Maurizio Buccarella.
Un emendamento che aveva aperto delle spaccature nel partito, o meglio tra Grillo e Casaleggio, contrari alla depenalizzazione del reato, e i militanti, schieratisi invece a favore tramite una consultazione on-line.
Anche per questo, il no dato ieri dal M5S ha scatenato reazioni stupite e polemiche. Anche se, in realtà, ”il Movimento 5 Stelle ha votato a favore dell’emendamento per l’abrogazione del reato di clandestinità secondo le indicazioni del referendum online. Ma ha votato contro l’intero provvedimento della maggioranza”, come ha sottolineato il gruppo alla Camera. I 5 Stelle hanno inoltre votato a favore di un emendamento di SEL che chiedeva l’eliminazione non solo del reato, ma anche dell’illecito amministrativo. “Noi siamo favorevoli alla depenalizzazione, ma siamo contrari al fatto che il governo legiferi al posto del parlamento, oltre che agli altri provvedimenti contenuti nella proposta di legge”, commenta la deputata del M5S Giulia Sarti in un video pubblicato su Youtube. “Non siamo d’accordo anche di fronte alla previsione di una generalizzata trasformazione in illeciti amministrativi di molti reati oggi puniti con pene detentive e della totale depenalizzazione per altri reati”, ha sottolineato in aula il deputato M5S Tancredi Turco (qui la seduta alla Camera con tutti gli interventi). Resta il fatto che la votazione complessiva è un “no”.
Dal canto suo, la Lega Nord, che ieri ha portato avanti un forte ostruzionismo, promette battaglia contro la depenalizzazione del reato di ingresso irregolare, e annuncia una raccolta firme per un referendum. Dal suo profilo Facebook, il segretario del Carroccio Matteo Salvini lancia dichiarazioni che suonano come slogan elettorali: “Lega, unica DIFESA contro l’invasione clandestina”.
Oltre alle polemiche, rimane anche la parola “clandestinità”. Campeggia sulle pagine di tutti i quotidiani, viene usata da tutti i politici. Anche se, a ben vedere, di “clandestinità” non si parla da nessuna parte. Non nel ddl che ha introdotto il reato, non nell’art. 10 del Testo unico sull’immigrazione mdificato dal suddetto ddl. E’ stato ripetuto più volte: “clandestinità” è una di quelle parole che il codice deontologico per i giornalisti Carta di Roma ha indicato come “un termine con accezione fortemente negativa”. Già dopo l’approvazione in Senato dell’emendamento, Carta di Roma sottolineava l’importanza di un corretto uso delle parole: un richiamo quanto mai necessario, che mette di fronte politici e giornalisti alla responsabilità di una corretta informazione, lontana dalle strumentalizzazioni.