Lucida e precisa, come sempre, l’analisi condotta da Guido Caldiron sulle colonne de il Manifesto, nella edizione odierna. Un’analisi che parte dalle dichiarazioni di Matteo Salvini e dell’estrema destra italiana, per scivolare all’ideologia della destra europea, ma che trova comune denominatore nel “delirio xenofobo della «sostituzione di popoli»”. L’ossessione di un complotto per rimpiazzare i popoli dell’Europa con gli immigrati, sottolinea Caldiron, in un contesto di crisi come il nostro, tende a farla da padrone alimentando anche le più banali paure.
Il tono delle dichiarazioni può mutare leggermente. Non il significato del loro contenuto. «Lo Ius Soli in Italia non lo accetto, è una sostituzione di popoli»; «la sinistra, a livello mondiale, ha pianificato un’invasione (di immigrati), una sostituzione di popoli»; «è in corso un’operazione di sostituzione etnica coordinata dall’Europa». Matteo Salvini non perde occasione per ribadire come secondo lui sia in atto nel nostro paese una «sostituzione etnica» voluta dalla «sinistra» nostrana e da «centri di potere» internazionali. Nel riposizionamento in senso identitario e nazional-nazionalista della Lega, che ne ha reso la tradizionale xenofobia ancor più aggressiva, Salvini ha così finito per adottare in prima persona, e imporre all’attenzione generale ad ogni suo passaggio televisivo quelle che sono da tempo parole d’ordine e idee della destra radicale.
Un paio di esempi al riguardo possono bastare. Gli skinheads neofascisti che a dicembre a Como fecero irruzione nella sede di un’associazione di solidarietà ai migranti, imposero ai presenti di ascoltare la lettura di un volantino in cui si mettevano in guardia «tutti coloro che mirano a sostituire questi popoli (europei) con non popoli». Uno dei responsabili di Casa Pound, formazione già alleata della stessa Lega e che ha fatto delle tesi della «sostituzione di popoli» il centro della propria propaganda, ha dedicato all’argomento addirittura un volume, nel quale si afferma che «il pericolo maggiore per la civiltà europea è rappresentato dalla Grande Sostituzione delle sue popolazioni, organizzata dalle élites economiche di destra congiuntamente con le caste culturali di sinistra».
Sorta di passepartout ideologico dell’estrema destra europea negli anni della crisi – un riferimento esplicito a questo tema era contenuto non a caso anche nel testamento politico fatto ritrovare da Dominique Venner dopo il suo clamoroso suicidio compiuto nella cattedrale parigina di Notre Dame nel maggio del 2013 per contrastare il Mariage pour tous -, la tesi della «sostituzione di popoli» cela in realtà a fatica, sotto una vaga verniciatura sociale o culturale, il proprio portato di fondo, quello di definire i contorni di una minaccia esistenziale, identitaria, più o meno apertamente «razziale». Coniugando una visione paranoica a una dimensione cospirativa la cui posta in gioco è riassumibile nella sopravvivenza o meno di quello che si afferma essere il profilo dell’Europa (bianca), questa posizione svela da un lato il volto intrinsecamente razzista delle campagne anti-immigrati e contribuisce dall’altro implicitamente a tracciare quella sorta di linea invisibile che, data l’ampiezza del «pericolo» annunciato, si può essere pronti a varcare per passare dalla parole ai fatti. Come è accaduto a Macerata.
Espressa per la prima volta nel 2011 dallo scrittore francese Renaud Camus, più volte accusato pubblicamente anche di antisemitismo, Le Grand Remplacement delinea i contorni di un complotto per rimpiazzare i popoli dell’Europa con gli immigrati, spiegando come «l’ideologia che promuove la Grande Sostituzione, è nata dalle nozze mostruose della Rivoluzione industriale nella sua fase avanzata con l’antirazzismo dogmatico». Nelle tesi di Camus sembrano però riecheggiare anche le idee di Samuel P. Huntington sull’inevitabilità di uno scontro di civiltà tra l’islam e l’Occidente, e se si vuole anche quelle di un classico del complottismo, il cosiddetto Piano Kalergi, dal nome di un aristocratico austriaco cui viene attribuito un folle, e in realtà inesistente progetto di «genocidio programmato dei popoli europei».
Se a questo si aggiungono gli echi identitari con i quali sempre in Francia, presso gli ambienti della Nouvelle Droite si sono letti i processi di globalizzazione nei termini di un complotto «mondialista», e cosmopolita, teso a cancellare, anche per il tramite dei fenomeni migratori, specificità culturali e nazionali, si coglie appieno la portata delle tesi della «sostituzione di popoli», in particolare nel contesto della crisi.
Considerazioni che, pur nelle mutate condizioni storiche e intellettuali, possono addirittura suggerire, come ha fatto notare più d’uno studioso, una sorta di sinistro parallelo tra i famigerati Protocolli dei Savi di Sion e quanto teorizzato da Camus.