«Parliamo, io e te. Parliamo della paura», esordiva nel suo romanzo del 1978 Stephen King. Si, “a volte ritornano”, con un refrain già sentito. E con l’insistenza e la caparbietà di chi vuole giocare con la paura dell’”altro”, cercando in modo forzoso di contrapporre schemi identitari e presunte “radici”, e contrapponendo “culture essenziali”. Ed è cosi che negli ultimi giorni, e a seguito dei sanguinosi fatti di Parigi, a tenere banco sulle cronache, non sono soltanto i presepi e i canti natalizi, ma anche un tema assai molto caro ai leghisti e già affrontato negli anni: l’affaire del cosiddetto “velo islamico”.
Antesignano in questo, il comune di Azzano Decimo (Pordenone), che già nel 2004 si contrapponeva e vietava l’uso del burqa. L’ordinanza del sindaco leghista, tuttavia, fu subito annullata dal prefetto di Pordenone e poi ‘bocciata’ dai giudici amministrativi. Ma, l’esempio di Azzano è stato comunque seguito da altri Comuni, negli anni, con altrettante ordinanze, multe e divieti.
In realtà, in Italia, l’uso del burqa non è vietato dalla legge e c’è stata anche una sentenza del Consiglio di Stato, nel merito, che ne ha ribadito la legittimità.
Ma, appunto, in questi giorni, si è rianimato di colpo l’acceso dibattito. A cominciare da Varese, dove è stata pubblicata nell’albo pretorio del Comune un’ordinanza ribattezzata “antiburqa”, per vietarne l’uso nei luoghi pubblici o aperti al pubblico (in realtà era già stata approvata nel gennaio scorso in consiglio comunale). La misura firmata dal sindaco leghista Fontana nasce dall’assunto che “i recenti episodi terroristici e l’innalzamento dal livello di allarme nell’intero Paese verso il rischio di attentati richieda l’adozione di misure contingibili e urgenti finalizzate alla immediata riconoscibilità di chiunque si muova in luoghi pubblici o aperti al pubblico nel territorio cittadino, sia per agevolare il lavoro di controllo operato dalle forze di Polizia, sia per prevenire l’insorgenza di tensioni e ingiustificati allarmi nella cittadinanza come conseguenza della presenza in città di soggetti non immediatamente riconoscibili e identificabili”. L’esecutività dell’ordinanza è all’esame e all’assenso del prefetto.
A fare compagnia al sindaco Fontana, vari consiglieri comunali che con mozioni e interrogazioni hanno suonato la stessa musica. A Noventa Padovana, il capogruppo consiliare Marcello Bano ha presentato una mozione chiedendo che, «a tutela della sicurezza pubblica, vengano vietati questi indumenti femminili in uso presso le donne di religione islamica (…) Questo gruppo consiliare ritiene essenziale che sia monitorato il fenomeno terroristico in atto nel mondo, in particolare riguardo ai molti obiettivi sensibili presenti in Veneto come Padova», scrive Bano. «Ritiene inoltre che motivi di ordine religioso che potrebbero giustificare tale utilizzo devono sottomettersi a quelli di ordine pubblico in questo momento storico così difficile in cui i cittadini sono spaventati per le azioni esplosive che anche persone di sesso femminile appartenenti al mondo islamico hanno compiuto negli ultimi giorni e che potrebbero riproporsi». Mentre a Trieste, Luca Chiavegatti (Destra Sociale), con un comunicato chiede che “per combattere il neofondamentalismo islamico nel nostro paese, si cominci con il vietare la “macellazione rituale” e “porto del velo” (…) Ma al di là di queste misure che in altri paesi membri dell’Unione Europea (e non, come la Svizzera) sono già effettive, è semplicemente la volontà di fare rispettare le sue proprie leggi, cominciando anche – nei nostri Comuni – a far rispettare il divieto di pregare in strada attraverso “un’ordinanza del Sindaco” e ugualmente dovrebbe essere promossa la soppressione della parola “ISLAMOFOBIA” visto che non viene mai utilizzata quella di “CRISTIANOFOBIA”, che invece è tanto già applicata in molti quartieri della nostra città, nelle scuole, negli asili, attraverso la rimozione di tutti i segni religiosi che richiamano alla cristianità”.
E, infine, in Regione Lombardia, il consigliere leghista Fabio Rolfi interroga la giunta sulla possibilità di adottare provvedimenti «che assicurino la massima efficacia dei controlli di sicurezza interni a tutti gli edifici istituzionali, in tutte le strutture pubbliche regionali». In realtà, la battaglia di Rolfi è partita (tanto per cambiare) su Facebook, dove ha pubblicato una foto di una donna in ospedale mentre cullava il proprio piccolo, col capo coperto dal niqab: “Questa foto è stata scattata qualche giorno fa presso un ospedale bresciano: far rispettare il divieto di circolare in luogo pubblico a volto coperto, anche all’interno dello strutture sanitarie regionali. Porterò il tema in Regione, se a qualcuno non va bene, può sempre tornare a partorire al proprio paese”.
L’assessore alla Sicurezza, Simona Bordonali, anche lei esponente del Carroccio, rispondendo nell’aula del Consiglio regionale all’interrogazione del leghista, ha richiamato alcune norme nazionali, come il “divieto di comparire mascherati in luogo pubblico”. Nel suo intervento, l’assessore ha anche ricordato la recente presa di posizione del pm Carlo Nordio (“Quando cammino per Venezia, vedo queste persone che indossano il velo e mi chiedo se questo sia la cosa giusta. Secondo me è invece giusto vietare il velo, anche per una questione di sicurezza (…) Burqa e niqab mettono in pericolo la sicurezza, cosa che non fanno le maschere di carnevale perché non è vietando le maschere che si fermano i terroristi ma con una risposta culturale”), favorevole a vietare l’uso del velo: “Ci sono già delle leggi in materia e secondo me è arrivato il momento di farle rispettare. La Regione Lombardia rivedrà i regolamenti sull’ingresso delle donne che indossano burqa o niqab nelle strutture regionali, inclusi ospedali e Asl”.
Ma la querelle più assurda è quella scatenatasi a Venezia, sull’uso del burqa, la sicurezza e le maschere carnevalesche cui il ministro dell’Interno Angelino Alfano, al termine di una riunione sulla sicurezza a Venezia, ha posto fine così: «Non abbiamo in questo momento iniziative legislative. In Italia si è liberi di pregare ma non di inneggiare all’odio. Abbiamo già provveduto all’espulsione di 60 soggetti di cui 4 Imam». A volte ritornano, e ci riprovano. E ritorneranno, ancora purtroppo.