Prima Ecco quanto paghiamo per ‘bonificare’ i campi rom, poi Via dal campo i nomadi ‘paperoni’: a giudicare dagli articoli e dal ritmo con cui vengono pubblicati, il quotidiano Il Tempo sembra aver ingaggiato una battaglia contro i cittadini rom presenti a Roma. Non è solo la frequenza con cui vengono scritti che sembra suggerire un’attenzione particolare del quotidiano rispetto all’argomento: i toni usati propongono al lettore una polarizzazione italiani-rom, dove questi ultimi sono identificati come coloro per i quali noi paghiamo ingenti somme di denaro.
Nell’articolo di lunedì la giornalista Erica Dellapasqua parla dei costi del “sistema nomadi”, costi che, oltre a essere “sempre più consistenti per le casse di Roma Capitale”, rappresentano uno “spreco considerando che, nonostante i ripetuti interventi, le condizioni igienico-sanitarie all’interno dei campi restano disastrose”. Lo abbiamo affermato anche noi insieme a Berenice e a OsservAzione, nel dossier Segregare costa, che infatti viene citato da Dellapasqua: la giornalista riporta nel dettaglio alcuni dei costi sostenuti dall’amministrazione capitolina per la gestione e la manutenzione dei campi, e per alcuni servizi ad essi collegati, finalizzati, secondo Dellapasqua, a “rendere i campi ‘vivibili’”.
La denominazione di questi spazi, “campi rom”, la dice lunga: sono aree chiuse previste dalle amministrazioni esclusivamente per le persone rom. Qualsiasi intervento, lo abbiamo esplicitato nel dossier, lo affermiamo quotidianamente nel nostro lavoro e lo ribadiamo qui, non può rendere una situazione che è di per sè ghettizzante da diversi punti di vista – spaziale, abitativo, sociale e culturale – “vivibile”. I “campi” sono veri e propri ghetti funzionali a relegare i rom ai margini delle città e a mantenerli in una condizione di estraneità rispetto alla società maggioritaria.
La giornalista afferma che “gli interventi non hanno fermato il degrado che caratterizza la maggior parte degli insediamenti”: quello che però non analizza è che alla loro base non c’è l’obiettivo di un superamento dello situazione attuale, bensì quello di realizzare misure contenitive e assistenziali.
Se l’obiettivo non è un miglioramento sostanziale, ma l’allontanamento dal centro urbano di una presenza considerata “scomoda”, è difficile che le cose cambino.
Nell’articolo però non si cercano le ragioni del perché interventi numerosi e costosi non cambino nulla. Interessa piuttosto dare spazio a una tesi, esplicitata tramite le parole del consigliere regionale Fabrizio Sartori, secondo cui per i romani non ci sarebbero soldi e invece per “immigrati, nomadi e occupanti abusivi” si. Una contrapposizione, sempre la stessa, puramente propagandistica.
Ad ogni modo, l’articolo dello stesso quotidiano parla chiaro: i soldi che il Comune di Roma spende per mantenere il sistema dei “campi rom” non portano alcun beneficio ai rom stessi, visto che, come scrive la giornalista, le condizioni in cui si trovano sono “disastrose”. In due parole, non vanno a beneficio dei rom, costretti a vivere in spazi disumani, né vanno a beneficio dei cittadini italiani. Soldi pubblici vengono spesi per un sistema che non funziona e che anzi è controproducente, perché continua, come in un movimento a spirale, a creare segregazione, esclusione, frustrazione, assistenzialismo, allontanando sempre di più i soggetti interessati dal tessuto sociale e lavorativo cittadino e rendendoli sempre più “diversi”.
Non manca nell’articolo (e come potrebbe?) il tema della sicurezza, per cui Il Tempo lancia addirittura un “sos”: Dellapasqua parla di aggressioni continue contro gli operatori di Risorse per Roma, e riporta un episodio in cui un ragazzo rom (“nomade” per la giornalista) si sarebbe scagliato contro due vigilantes. Anche qui non ci si sofferma sull’assurdità di dover vivere, a Roma nel 2014, in un “campo” chiuso, recintato e controllato da vigilantes. Inoltre si parla di un episodio che ha coinvolto un ragazzo, in un “campo” (quello di via Salone) in cui ci sono 850 persone, con il consueto esercizio di generalizzazione frequente nei media quando si occupano dei rom.
L’articolo di lunedì fa il paio con quello di ieri, che segnala alcune revoche dell’assegnazione degli alloggi, notificate dal Comune ad alcuni rom che si sarebbero dichiarati nullatenenti pur possedendo beni. L’inizio delle indagini – riporta Il Tempo – risale a inizio 2013, ma era stato tutto fermato dal Tar, che aveva accolto i ricorsi dei cittadini rom “smascherati”.
L’articolo di ieri e quello di oggi hanno tratti comuni e evidenti: la scelta di trasformare un evento particolare in una situazione rappresentativa di un contesto più generale tramite un processo di generalizzazione: un uomo aggredisce due vigilantes e tanto basta per lanciare un “sos sicurezza”. E poi i toni usati e le parole scelte, stigmatizzanti, a tratti quasi ridicolizzanti: “i paperoni”, “i nomadi smascherati”, il ricorso accolto dal Tar definito come una “scappatoia”.
Gli articoli parlano di una situazione che non funziona, di soldi spesi – male – dalle amministrazioni: ma non indagano le cause, anzi sembra rintracciarle nei rom stessi, che vivono in “baracche”, in “campi-discariche”.
Perchè il comune continua a spendere soldi per un sistema che non va, che genera esclusione e peggiora la situazione? Perchè se i vari interventi non hanno portato ad alcun miglioramento non si pensa a un cambiamento, ma anzi sembra si voglia proseguire su questa linea? – a tal proposito, il Comune ha in cantiere la costruzione di un altro “campo”, contro cui l’associazione 21 Luglio ha lanciato un appello a cui si può aderire fino a domani. Esistono soluzioni alla questione, che non portino a sperpero di denaro pubblico e indirizzino davvero le persone verso un percorso di inserimento nel tessuto sociale del paese? Perchè le amministrazioni non le prendono in considerazione? Sono domande che bisognerebbe porsi affrontando la “questione rom”, usata troppo spesso in modo strumentale dai politici e dagli operatori dei media.
Noi abbiamo provato a farcele, queste domande, nel dossier Segregare costa. Dove non si trovano solo i dati riportati da Dellapasqua, ma anche possibili alternative e buone prassi contro un sistema che si auto-alimenta e che non favorisce affatto percorsi effettivi di inclusione sociale dei rom e dei sinti, ma che al contrario ne perpetua la ghettizzazione in condizioni di dipendenza e vulnerabilità (a questo link sono scaricabili il dossier e la sua sintesi in italiano e in inglese, nonchè una scheda tecnica sul perchè ‘segregare i rom’ non è la scelta giusta, nemmeno dal punto di vista economico oltre che umano).
In sintesi: i dati che abbiamo raccolto ci hanno portato a mettere in discussione il sistema dei campi per proporre politiche di inclusione sociale più serie e durature capaci di rendere la vita delle persone che vi risiedono più dignitosa. Il Tempo non se n’è accorto o, più probabilmente, ha preferito non riportarlo.