L’ipotesi di Decreto Salvini in materia di immigrazione e asilo, un testo che andrebbe a modificare la legge 286/98, che circola da qualche giorno e ha come obiettivo quello di modificare in maniera restrittiva la normativa in materia di immigrazione, non si trova in buone acque. Si tratta di un testo pessimo e prima di vedere perché potrebbe non vedere la luce, sarà bene capire cosa contiene.
La prima modifica sostanziale riguarda l’abolizione di fatto della protezione umanitaria: questo tipo di permesso di soggiorno si concede a chi, pur non avendo diritto a essere riconosciuto come rifugiato presenti “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, oppure nel caso di persone fuggite da conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità. La nuova norma prevede l’abolizione della protezione umanitaria, che in varie forme esiste in numerosi Paesi europei, una serie di “casi speciali” e concede il permesso per ragioni sanitarie: se la persona è malata e può provarlo e il suo trasferimento mette a rischio la sua salute, allora avrà diritto a un permesso di un anno rinnovabile. Si badi, il permesso per cure esiste già e ai “casi speciali” oggi viene concesso un permesso di due anni.
La giustificazione dell’abolizione di questo tipo di protezione risiede nell’idea che i permessi concessi siano troppi. La verità è che tra le prime quattro nazionalità, per citare quelle, come ha notato su Twitter Matteo Villa dell’Ispi, a cui il titolo viene riconosciuto, ci sono Nigeria, Gambia e Pakistan, Paesi dove alcuni segmenti della popolazione (o tutti nel caso del Gambia fino all’inizio dell’anno) sono a rischio persecuzione o conflitti armati non ufficiali. L’altra verità è che non concedere alcun permesso alle persone che lo richiedono significa semplicemente alimentare il numero di persone straniere che si troveranno nel nostro paese senza un titolo di soggiorno. In assenza di accordi con i Paesi di provenienza, infatti, le persone non possono essere rimpatriate e rimarranno in Italia ma prive di diritti e invisibili. Il testo prevede poi l’introduzione di un permesso premiale: se hai fatto qualcosa di eroico, allora, ti concediamo un permesso e ti concediamo persino di cercare lavoro. Ma solo se ti comporti da eroe.
L’ipotesi di decreto riorganizza anche il sistema di accoglienza e raddoppia i tempi di permanenza (da 90 a 180 giorni) nei centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) prevedendo che le autorità di polizia possano trattenere le persone in attesa di essere espulse in “strutture diverse e idonee nella disponibilità delle autorità di pubblica sicurezza”. La detenzione per chi non ha commesso reati, insomma, si allunga. E le risorse destinate all’orientamento degli stranieri nella difficile navigazione nel sistema legale e burocratico italiano vengono trasferite al fondo per i rimpatri. La logica è quella della chiusura. Ma non c’è da stupirsene. Il riordino dell’accoglienza implica un ridimensionamento dello Sprar – il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – che gestisce i progetti locali di accoglienza ed è il migliore strumento in essere per favorire l’inserimento sociale e la partecipazione dei richiedenti asilo alla vita civile. Nei progetti Sprar potranno essere accolti solo coloro che sono già titolari di protezione o i minori non accompagnati.
Un altro aspetto grave riguarda sia la revoca della protezione: il testo amplia le ipotesi di reato che possono causarla. Peccato che nell’elenco dei reati ci siano anche la resistenza a pubblico ufficiale, la detenzione e lo spaccio di stupefacenti (non viene naturalmente specificato quali, né in che misura) o il furto. Nel primo caso il reato può essere dovuto a situazioni di stress emotivo, scarsa comprensione della situazione e molto altro. Nei casi successivi, invece, la modalità con cui si viola la legge varia moltissimo: se ho in tasca delle droghe leggere o se viaggio in treno con un chilo di eroina, sto facendo due cose molto diverse tra loro.
L’ipotesi di decreto interviene anche sulla legge 91/1992 che regola la cittadinanza: raddoppio dei tempi massimi di attesa dalla presentazione dell’istanza da due anni a quattro. Non solo, chi chiede la cittadinanza italiana non deve avere a proprio carico “o dei familiari o conviventi” provvedimenti di pubblica sicurezza, giudiziari o di condanna “anche non definitiva”. Si introduce dunque una normativa per cui la responsabilità penale non è individuale – se tuo fratello o il tuo compagno/a ha rubato in un supermercato, tu non hai diritto a divenire cittadino – e una condanna in primo grado diventa di fatto definitiva: se tuo fratello è stato condannato in primo grado ma ha presentato appello, tu non hai diritto a diventare cittadino. Sono previsti limiti anche alla concessione della cittadinanza ai discendenti di italiani: in caso di approvazione del testo Salvini, varrebbe solo la linea diretta (padre, madre, nonni, ecc.). Aumentano anche le possibilità di revoca della cittadinanza: il numero di reati commessi che la farebbe perdere cresce non poco.
Fin qui l’analisi del testo che ha come finalità quella di rendere più difficile, faticoso, lento l’iter di riconoscimento dello status giuridico di una persona che giunta in Italia richieda una forma di protezione.
La parte politica riguarda invece le tensioni nella maggioranza: il Movimento 5 Stelle sembra frenare sul decreto per ragioni che non riguardano necessariamente i suoi contenuti. Il braccio di ferro sulla manovra economica (reddito di cittadinanza contro flat tax e così via) e il rilancio del centrodestra in vista delle amministrative battezzato dall’incontro a tre Berlusconi-Salvini-Meloni stanno provocando tensioni. Dare a Salvini anche una misura “anti-immigrazione” da appuntarsi come una medaglia, al M5S proprio non conviene. Ma il ministro degli Interni ha fretta e vuole fare approvare il decreto con carattere di urgenza dal prossimo Consiglio dei ministri.
Sulla vicenda vigila il Presidente Mattarella: diversi giuristi e operatori del settore hanno scritto e commentato in questi giorni che l’ipotesi di decreto ha caratteri di incostituzionalità. E il Presidente della Repubblica, scrivono diversi giornali, ha reso note le sue perplessità. Sarà forse lui, in qualità di custode e garante della Costituzione, ad evitare che un pessimo testo diventi legge dello Stato. O almeno a costringere il governo a rivederne gli aspetti peggiori.