Si è chiuso ieri il primo tavolo di lavoro del Governo dedicato alle ipotesi di modifica dei cosiddetti decreti sicurezza varati da quello precedente. Modifica e non cancellazione, come chiedono da tempo molte associazioni.
Dopo quasi tre ore di riunione a Palazzo Chigi, si è registrata una condivisione di massima sull’esigenza di modificare i decreti, ma le distanze interne alla maggioranza restano molte e ad oggi le informazioni disponibili sono quelle diffuse dalla stampa.
Presenti al tavolo, oltre al premier Giuseppe Conte e alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, anche i viceministri dell’Interno Vito Crimi e Matteo Mauri, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Riccardo Fraccaro, e il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano. Inoltre, Loredana De Petris e Nicola Fratoianni per LeU, il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera Giuseppe Brescia (M5S), Roberta Pinotti (Pd), Laura Garavini e Gennaro Migliore per Italia Viva.
L’intesa c’è in merito ad alcune criticità che i due decreti hanno provocato a partire dall’aumento del numero di cittadini stranieri resi “invisibili” a causa della cancellazione del permesso per motivi umanitari. Ma se per la delegazione di Leu guidata da Nicola Fratoianni, i decreti sicurezza “vanno abrogati per intero”, per Vito Crimi, “tornare indietro vanificherebbe gli effetti ottenuti”.
I punti al centro della discussione di ieri sarebbero:
– cancellare la maxi-multa da un milione di euro alle navi che violano il divieto di ingresso nelle acque italiane, tornando però alle multe fra 10mila e 50mila euro (anche perché nelle sue osservazioni il presidente Sergio Mattarella, a suo tempo, ha fatto riferimento a una sentenza della Consulta sulla “proporzionalità tra sanzioni e comportamenti”, ndr); di fatto salvare vite rimarrebbe una “colpa”, da sanzionare;
– abolire la confisca immediata e automatica della nave ‘rea’ di non aver rispettato il divieto d’ingresso;
– ampliare la tipologia dei permessi di soggiorno per “casi speciali”, per tentare di limitare la netta crescita del numero di cittadini privi di permesso di soggiorno, concedendo tale tipo di protezione a nuove categorie di migranti ritenuti vulnerabili (in particolare: famiglie con figli minori, persone gravemente ammalate, quelle con disturbi psichici, disabili e donne in stato di gravidanza);
– riconoscere ai richiedenti asilo la possibilità di iscriversi all’anagrafe, godendo quindi di tutti i diritti legati alla residenza, incluse le prestazioni sanitarie, l’apertura di un conto in banca e l’iscrizione all’Inps (inevitabile dopo tutte le ordinanze dei Tribunali e le disapplicazioni da parte dei sindaci);
– assegnare alle commissioni territoriali maggiori poteri sia per riesaminare «la domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento» sia nel «rilascio di un permesso di soggiorno agli stranieri in condizioni di salute di particolare gravità» oppure «per la concessione dell’autorizzazione giudiziaria a permanere sul territorio per assistenza a familiari minori»;
– ridurre da 180 a 120 i giorni di massima permanenza nei Cpr, ma con pene più severe «per l’allontanamento arbitrario da tali strutture e per le condotte violente» commesse negli stessi;
– ripristinare la discrezionalità del magistrato chiamato a decidere “la tenuità” o meno dei reati di oltraggio, violenza e minaccia a pubblico ufficiale (nei decreti sicurezza, lo ricordiamo, sono previste pene più severe – fino a 5 anni di carcere – per minacce e ingiurie a pubblico ufficiale, dipendenti delle amministrazioni pubbliche compresi).
Ma si tratta solo di indiscrezioni. Non c’è ancora un testo ufficiale: si sa che il tavolo si riunirà nuovamente per lavorare alle misure da inserire e che saranno scritti due decreti, uno sulla sicurezza e uno sull’immigrazione. Non ci sono tempistiche né si possono fare previsioni vista la delicatezza e l’importanza dei temi affrontati.
Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, dal canto suo, ha tentato un approccio di mediazione e di concretezza («Impedire di trasformare il testo in materia di scontro politico», ha dichiarato alla stampa), pur sapendo che non sarà semplice. Scontata la reazione di Matteo Salvini alla notizia di una possibile revisione dei decreti: «Cancellare i decreti sicurezza significa aiutare la mafia e gli spacciatori di droga».
Secondo Matteo Mauri, viceministro dell’Interno, sono stati “fatti passi avanti e abbiamo condiviso alcuni obiettivi, valutando come questi decreti abbiano prodotto obiettivamente più irregolarità. Abbiamo deciso di dividere la parte più legata alla sicurezza e quella legata all’immigrazione ed abbiamo riflettuto, con qualche accento diverso, ma assolutamente riconducibile all’unità, su quali possono essere gli interventi da fare”.
Allo stato attuale, purtroppo, niente ci lascia sperare in un segnale netto di discontinuità da parte del Governo, sebbene sia stato richiesto da molti e in più occasioni.
L’abrogazione dei decreti sembra lontana e le modifiche annunciate davvero poca cosa. Grandi assenti dalla discussione la riforma della legge sulla cittadinanza e proposte chiare sulla riforma del sistema di accoglienza. E il memorandum sulla Libia, rinnovato per altri tre anni senza modificare una virgola, salvo poi inviare qualche riga ai libici chiedendo “maggiore rispetto” dei diritti umani.
Si ha l’impressione che si voglia modificare il meno possibile i due decreti per non alimentare le divergenze interne alla maggioranza e non “provocare” l’ex ministro dell’interno. Se l’esito del tavolo di lavoro fosse solo qualche ritocco a due norme fortemente ingiuste e lesive dei diritti umani significherebbe di fatto subire l’impianto culturale e politico che li ha generati.