Luca Bravi, Docente presso il Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Firenze, autore di numerose pubblicazioni sulla storia dei rom e dei sinti in Europa, pubblica un interessante articolo sul sito radiocora.it, poi ripreso anche dal sito comune-info.net. Nel testo si richiama l’attenzione sulla paventata ipotesi di istituire un “censimento” della popolazione rom e sinti da parte del nuovo Governo, e sulla necessità urgente di decostruire l’antiziganismo diffuso, che rende rom e sinti una sorta di “capro espiatorio per tutti i mali”. “Ci serve un processo culturale che smonti gli stereotipi, scrive l’autore.
Il governo Conte (o come più pare evidente il governo Salvini) ripropone in questi giorni l’antico adagio del censimento dei rom e dei sinti. Secondo il ministro dell’interno nessuno ha più fatto niente dopo Maroni (le cui azioni di censimento sono state dichiarate improprie ed incostituzionali). Molti invece avevano fatto in Europa prima di lui ed è necessario riproporla questa storia del nostro continente nell’ultimo secolo, per capire il dato più importante: che effetto hanno prodotto questi censimenti? Hanno mai migliorato davvero la vita di queste persone?
Dobbiamo prima connotare meglio chi siano i rom, perché altrimenti si producono immagini distorte: in Italia, soltanto il 20 per cento di rom e sinti vive nei campi nomadi, mentre l’80 per cento vive esattamente come il resto della popolazione italiana ed è scarsamente visibile ai nostri occhi, perché evita di dichiararsi rom o sinto per non doversi difendere dai pregiudizi (voi lo dareste lavoro ad una persona che si dichiara rom? il 96 per cento della popolazione italiana non lo farebbe); questa popolazione in Italia conta tra i 160mila e le 180mila persone, quattro su cinque non stanno nei campi eppure c’è il costante richiamo a considerarli solo un popolo di ghettizzati; impareremo che è l’effetto dei nostri stessi censimenti che rappresentano un po’ la profezia che si autoavvera, perché con i paraocchi del razzista democratico, noi diciamo “rom” e pensiamo “campo nomadi” oltre a ladro, delinquente ecc.
Il primo censimento del Novecento lo attuò Alfred Dillmann, capo della polizia di Monaco che nel 1905 lo pubblicò in un libro che si intitolava Zigeunerbuch (il libro degli zingari). Vi aveva inserito tutti i nomi delle famiglie della categoria “zingari” che erano sul suo territorio, in modo che la gente potesse tenerli a distanza. Le persone seppero i nomi dei tanto odiati rom e sinti e queste comunità non riuscirono più a lavorare. Erano persone pericolose? Nominiamo una storia per tutte, quella di Ludovico Lehmann, liutaio, che a causa di quanto fece Dillmann fu costretto ad allontanarsi con tutta la sua famiglia dalla Germania muovendosi verso l’Italia, fu il capostipite di una delle comunità giunte nel nostro paese e la sua tomba (Ludovico morì nel 1908) si trova tuttora nel cimitero di Monsummano Terme (tra Montecatini e Pistoia) a ricordarci la cosa più cara che aveva quest’uomo, cioè il suo lavoro di costruttore di strumenti musicali, tanto che sulla lapide volle fosse presente il disegno di una cetra. Il censimento del 1905 colpì indiscriminatamente bambini, donne e uomini dei quali non importava affatto quale fosse il comportamento individuale, erano “zingari” e questo bastava per essere considerati pericolosi.
Nel 1933, il nazismo riprese ad interessarsi del “problema zingari” e iniziò le ricerche a partire dai dati elaborati dal capo della polizia di Monaco, prima arrestò tutti i rom e sinti per sterilizzarli perché considerati una popolazione ereditariamente malata di asocialità, poi dal 1936 inserì tutti gli appartenenti alla categoria “zingari” nei campi di sosta forzata sorti alle periferie delle città tedesche per utilizzare queste persone come mano d’opera schiava. In quei campi lavorarono Robert Ritter (psichiatra infantile) ed Eva Justin (giovane antropologa che si stava specializzando all’università di Berlino). I due proseguirono il lavoro di Dillmann attraverso ricostruzione di alberi genealogici e misurazioni antropometriche per concludere che l’inferiorità razziale di rom e sinti era dovuta a due caratteri ereditari: l’asocialità e l’istinto al nomadismo; dovevano quindi essere eliminati e dalla fine del 1942 il luogo della loro soluzione finale fu individuato in Auschwitz Birkenau.
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