Il 1° dicembre 2011, solo un giorno dopo l‘exploit sesso-razzista, sempre su “Libero”, delle donne, i libri e i barconi (su cui si legga l’intervento di Anna Maria Rivera http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/12/02/annamaria-rivera-culle-piene-e-barconi-vuoti-il-programma-nazistoide-di-libero/#more-1934), il quotidiano diretto da Belpietro lancia un altro allarme anti-immigrati.
E’ plausibile che, mentre a sinistra si finge di aver sempre sostenuto posizioni sul riconoscimento della cittadinanza ai nati qua e del voto amministrativo che sono stati evitati anche quando Prodi era al governo, forze di cui ci si illude di essersi liberati stanno rilanciando una campagna razzista, capace di competere, da destra, con i cuginetti della Lega. Il ricorso al maschilismo nazistoide e alla falsificazione dei numeri sono tra i primi strumenti venuti in mente al quotidiano di Belpietro. Vedremo i prossimi.
Quelli che…pagano le tasse
Il titolo dell’articolo, a firma Gilberto Oneto, è: “Gli immigrati disoccupati ci costano 4 miliardi”. Il genere è scelto con nettezza, si conta sul fatto che l’interlocutore (chi acquista e legge “Libero”) si riconosca in una categoria di cui è saggio sospettare: “Io sono un cittadino, pago le tasse…”.
Il sottotitolo riporta una cifra che moltiplica per 4 le cifre di fantasia sparate all’interno dell’articolo: “In Italia più di due milioni di stranieri senza lavoro e migliaia di cassintegrati: se riapriamo i flussi sarà una tragedia”. Dirà forse a sua discolpa, il direttore Belpietro: voleva dire non che ci sono due milioni di stranieri disoccupati, ma che se gli stranieri nella stima Caritas sono 4 milioni e rotti e, se gli occupati come dice l’Inps sono 2 milioni e qualcosa, gli altri due milioni non lavorano. Come si potrebbe dire (ma non si dice) che visto che gli occupati in Italia sono 22 milioni 913mila, 38 milioni non lavorano. E non sarebbe colpa di Belpietro se i lettori (….di “Libero”!) capiscono male. Ma anche così le cifre non tornerebbero per nulla, e l’affermazione sarebbe subdola.
L’articolo comincia riportando due posizioni con la consueta equidistanza, cui ci ha abituato certa stampa: quella del direttore generale del Ministero del lavoro, che “dice che ci sono 280.000 immigrati disoccupati e che perciò non ha senso per l’anno prossimo alcun decreto flussi”; e quella del direttore della Fondazione Migrantes (Caritas), che “tuona che è necessario ‘offrire maggiore possibilità d’ingresso legale in Italia’ agli immigrati”. Dall’alto di questa imparzialità, il giornalista di “Libero” invita il lettore a una bella sghignazzata: “Che straordinaria sintonia!”. E aggiunge: “interessante è anche il balletto dei numeri”. Non dice, per modestia, Oneto, che a far ballare i numeri è proprio lui.
L’invenzione dei dati
Come in una messa in scena brechtiana, è importante non perdersi un dettaglio delle acrobazie di Oneto:
“Secondo l’Istat nel gennaio 2011 ci sono in Italia 2.145.000 disoccupati: l’8,6% della forza lavoro, il 29,4% di quella giovanile: un quinto è straniero, e cioè più di 400.000 persone. Nel 2005 erano ‘solo’ 125.098”.
Non si capisce perché si prendano i dati del gennaio 2011; non sono facilmente comparabili con i dati INPS, Caritas e Moressa usati dopo dall’Oneto, che risalgono al 2010 e al 2009; forse per fornire dati più aggiornati? Ma ci sono già quelli dell’ottobre 2011 disponibili in rete. Che i disoccupati stranieri siano un quinto del totale, sembra da attribuirsi all’Istat, a leggere Oneto: non è così, a meno che abbia messo le mani su un documento dell’Istat che mi sfugge, ma son più probabili altre spiegazioni, viste le sue attitudini filologico-statistiche, che splenderanno vieppiù tra poco. Ecco i dati Istat, estratti il 4 dicembre 2011, aggiornati al I trimestre 2011.
Come ognun vede, 400.000 disoccupati stranieri qui sono invenzione di Oneto. Ma non gli bastano per arrivare a 4 miliardi di sussidi, come promesso nel titolo. E Oneto prova a trovare altri numeri più alti.
Non basta il falso, e Oneto raddoppia
“La Fondazione Moressa dice che nel 2010 il 23,8% degli stranieri iscritto all’INPS è disoccupato: circa 560.000, utilizzando i dati Caritas. Il Ministero si ferma invece a 280.000, coerente con la prudente politica del non lanciare allarmismi”.
Qui il quoziente di difficoltà del triplo salto mortale compiuto da Oneto credo sia incalcolabile.
I dati sulla disoccupazione straniera non sono ripresi da quelli Istat e Caritas, che (come sono furbe le forze anti-allarmiste!) coincidono, ma da quelli della Fondazione Moressa. Bene, basta andare a verificare. Senonché i dati Moressa coincidono esattamente con Istat e Caritas. Non riportano però la cifra iperbolica del 23,8% del visionario Oneto, ma meno della metà, l’11,6%.
Ecco la tabella Moressa
(http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/2011/10/la-contrattazione-pensata-per-i-lavoratori-immigrati/):
Secondo la Fondazione, i disoccupati stranieri nel 2009 sono 274.121. esattamente la cifra fornita da Inps, Istat, Ministero del lavoro, Caritas; ma troppo bassa per il povero Oneto. Il quale è costretto a inventarsi una percentuale più che doppia, per giungere a una cifra strabiliante, “usando i dati Caritas” (il che significa: applicando una percentuale falsa a un dato vero, gli iscritti all’Inps, riportato anche dalla Caritas). Se il Ministero (retto per tre anni dal Ministro di un governo appoggiato da “Libero”) “si ferma” a 280.000 non è per anti-allarmismo, ma perché questa è la cifra, arrotondata e calcolata secondo i criteri indicati in maniera trasparente e verificabile dall’INPS.
Giunto a questa falsificazione, Oneto, ormai senza freni, ricostruisce il numero di 4 miliardi di euro che gli serve per superare la presunta cifra dei versamenti IRPEF dei lavoratori immigrati.
“Calcolato un valore minimo di 530 euro al mese, significa che la spesa in sussidi di disoccupazione agli stranieri va da 1,9 miliardi del Ministero ai 3,8 miliardi della Fondazione Moressa. A questi vanno aggiunti gli stranieri cassintegrati: erano 65.546 nel 2005”.
Confesso di non riuscire a trovare i dati del Ministero e della Fondazione Moressa qui riportati e fraintesi da Oneto; è possibile che si tratti non di dati, ma di invenzioni. Quanto al calcolo sulla spesa in sussidi, falsificato il primo fattore (il numero dei disoccupati iscritti all’INPS), Oneto sovrastima, di molto, anche il secondo: la cifra erogata a ciascuno dei disoccupati (euro 530 x 12 mesi). In questo modo si dà per scontato che tutte le persone in cerca di occupazione (che sono la metà di quanti immaginati da Oneto e da “Libero”) godano del sussidio di disoccupazione per tutti i mesi dell’anno, e che il sussidio di disoccupazione venga a gravare per intero sul bilancio dello Stato. Non è affatto vero: innanzi tutto, buona parte del cosiddetto “sussidio” non è che una forma assicurativa, versata all’Inps dal lavoratore e dal datore di lavoro, e solo in piccola parte consta di un sussidio statale. Il sussidio se lo sono già pagato, i disoccupati, e costano poco a Oneto, Belpietro e gli altri che urlano “Quanto ci costate!”. In secondo luogo, per accedervi sono necessari requisiti cui solo una parte dei lavoratori precari può soddisfare (52 settimane lavorative negli ultimi due anni). Superati questi non piccoli ostacoli, i lavoratori con meno di 50 anni (la stragrande maggioranza di migranti caduta in stato di disoccupazione) ha diritto a 8 mesi di sussidio, i primi sei al 60% della retribuzione, gli ultimi due al 50%. Per chi ha più di 50 anni, il sussidio raggiunge un anno, con gli ultimi due mesi al 40%. Naturalmente, buona parte di chi riesce a lavorare solo in maniera intermittente non raggiunge questi requisiti, o ritorna a lavorare per periodi ridotti, perdendoli (e contribuendo lo steso ai numeri delle statistiche).
Non bastano i falsi in entrata, Oneto ne inventa in uscita
Ma i numeri, per quanto mescolati, gonfiati, raddoppiati, non bastano a invertire le proporzioni tra le tasse pagate dai lavoratori immigrati e i sussidi percepiti dall’11,6% di disoccupati. E allora ecco che Oneto si dedica con acribia degna di migliore causa ai dati in uscita.
“Secondo il XX Rapporto Caritas nel 2010, i 4.235.000 lavoratori stranieri regolari hanno versato 2,2 miliardi in Irpef e 1,1 miliardi in IVA e altri tributi. La Fondazione Moressa ha stimato l’apporto degli immigrati per il 2009 in 3 miliardi, e cioè al 10% in meno. In ogni caso – conclude, affaticato ma trionfante, Oneto – la prima considerazione che viene di fare è che – nella migliore delle ipotesi, tutto quello che lo Stato incassa dai migranti in tasse lo restituisce loro in sussidi di disoccupazione”.
Non vogliamo privare il lettore della partecipazione diretta allo spettacolo di ulteriori acrobazie devolute alla seconda metà dell’articolo, con punte di razzismo improponibili in un paese civile, e ci fermiamo sulla sola disonestà applicata ai numeri.
Il XX rapporto della Caritas non riportava i dati del 2010, come dice Oneto, ma quelli del 2009. Bisognerà capire a quali dei due, XX e XXI rapporto, il fantasista belpetriano si riferisce. Così l’illusionismo trionfa, è più difficile capire dove sono stati rubati i coniglietti che escono dal cilindro. Anche il dato dei lavoratori è sbagliato. 4.235.000 è la stima che il dossier Caritas fa non dei lavoratori del 2010 (che sono, come il lettore anche meno portato ai calcoli statistici avrà ormai capito, poco oltre i 2 milioni iscritti all’INPS, più alcune centinaia di migliaia sfruttati al nero), ma degli stranieri residenti (ricchi compresi) nel 2009. Ma colpisce di più il lavoro di occultamento sui dati offerti dalla Caritas-Migrantes, che a p.310 del rapporto sintetizzava così le diverse cifre: “L’apporto dei lavoratori immigrati comincia ad assumere dimensioni rilevanti, proprio per la loro presenza crescente nel mercato del lavoro nazionale. Il dato complessivo del gettito contributivo e fiscale degli immigrati nel 2008 si avvicina agli 11 miliardi di euro, dei quali 6 miliardi di euro provenienti direttamente dalle buste paga dei lavoratori (escludendo i contributi versati dalle imprese nelle quali sono occupati)”.
Per quanto riguarda la fondazione Moressa, al 2009 l’ammontare dell’imposta netta pagato dagli stranieri è calcolato in 5,9 miliardi (si veda la tabella), e coincide quindi con le stime della Caritas. Siamo lontanissimi dai numeri confezionati da Oneto.
Ciò vuol dire che, corrette le cifre ballerine di Oneto, si avrebbe un bilancio attendibile della partecipazione degli immigrati alle finanze pubbliche? Neanche per idea. La voce di spesa “sussidi di disoccupazione” adoperata da Oneto con perfidia non sappiamo quanto consapevole (perché l’unica, con gli assegni familiari, in cui in media il singolo lavoratore immigrato viene a costare più del singolo lavoratore italiano, abbondantemente bilanciata dal prelievo fiscale cui è sottoposta la popolazione immigrata) costituisce una parte non prevalente del conto del dare e dell’avere. Bisogna calcolare, appunto, altre voci, come fanno ricercatori e istituzioni. Anche una lettura più attenta al Dossier Caritas da lui stesso citato (il penultimo, XX) avrebbe permesso a Oneto di aggiungere altre voci di spesa, e magari di fare danzare altre cifre, per il nostro spasso: tra le maggiori (voci di spesa, s’intende) la sanità, la scuola, i servizi sociali comunali, l’edilizia residenziale, la giustizia, la polizia, il pattugliamento in mare, i CIE, gli assegni familiari e le pensioni*. Una vera manna non sfruttata, per Oneto, che forse non si sente ancora in grado di rovesciare credibilmente i dati sulle pensioni.
Chi voglia accostarsi a ricerche sicure e disponibili, verrebbe a sapere che gli istituti di tassazione e spesa pubblica “stanno operando un rilevante trasferimento netto di risorse dagli immigrati verso gli italiani (…). Al momento, gli immigrati danno pertanto un rilevante apporto positivo alla finanza pubblica italiana” ** (pp.208-209). Naturalmente, come indicano i ricercatori seri, l’evoluzione delle caratteristiche socio-economiche e demografica della popolazione immigrata modificheranno, in un futuro non imminente, il peso relativo delle diverse voci di entrata e uscita per la finanza pubblica. Per esempio, aumenterà, assai lentamente, il numero delle pensioni erogate a immigrati; e, auspicabilmente, un aumento delle retribuzioni***, per ora bassissime, dei lavoratori non autoctoni farà sì che anche l’Irpef da loro pagata sia più alta.
Contro una lettura economicistica (anche se a favore dei migranti)
Ma, come scrive Naletto, bisogna guardarsi bene dall’enfasi su una lettura economicistica, che oggi, e prevedibilmente per molti anni, non può che registrare un enorme divario di benefici fiscali netti tra immigrati e cittadini italiani. La lettura di tali dati è necessaria per “decostruire molti dei luoghi comuni diffusi nell’opinione pubblica”**** (e, con ogni spregio dell’intelligenza, sollecitati da “professionisti” del livello di Oneto e Belpietro); ma da una parte le parole d’ordine razziste sono sorde all’argomentazione e interfungibili, dall’altra dev’essere chiaro che la partita si gioca su un altro piano. I diritti dei migranti vanno riconosciuti non perché i loro portatori “ci servono” o “pagano molte più tasse dei benefici fiscali che percepiscono”, ma per costruire una società basata su una riduzione delle ingiustizie sociali che avvelenano la nostra esistenza e la nostra vita biologica, e lasciano intravvedere un futuro sempre più difficile. Per il governo del territorio, è saggio pensare che, dato che la stabilizzazione delle popolazioni immigrate porterà alla crescita di domande di servizi e prestazioni, col rischio dell’inasprimento della competizione tra insiders e outsiders, sia necessario “orientare le politiche generali verso una riduzione delle disuguaglianze e cessare di considerare i migranti come soggetti estranei” ***** al corpo sociale. Evitare di dire “noi e loro” ci sembra il primo passaggio per giungere a politiche più efficaci e meno ingiuste, e magari a dati meno grotteschi.
Giuseppe Faso
Note:
* “Immigrazione.Dossier statistico 2010. XX rapporto”, Idos, Roma 2010, pp.310-312. Nel Dossier 2011, i dati aggiornati nel capitolo “L’impatto fiscale dell’immigrazione nel 2009”, alle pp.302-308, con una stima del saldo positivo per il bilancio dello stato di un miliardo e mezzo di euro (più i 355 milioni incassati con la regolarizzazione).
** Carlo Devillanova, “Immigrazione e finanza pubblica”, in Fondazione Ismu, “Sedicesimo Rapporto sulle migrazioni – 20101”, FrancoAngeli, Milano 2011, pp.195-209. La citazione è tratta dalle pp.208-209. Davillanova era intervenuto sul medesimo argomento sui due precedenti Rapporti Ismu, offrendo dati via via aggiornati e discutendo la letteratura scientifica relativa. Un’ottima prospettiva sintetica risalente a pochi anni fa è nel volume di Felice Roberto Pizzuti, “Rapporto sullo stato sociale 2008”, utet Università, Milano 2008. Su questo tema, cfr. pp.284-296.
*** Si dovrebbe però invertire la tendenza; infatti “nel 2010 la retribuzione media mensile netta degli stranieri è stata del 24 percento inferiore a quella degli italiani (rispettivamente 973 e 1.286 euro). Il differenziale aumenta fino al 30 per cento per le donne (788 e 1.131 euro). In confronto al 2009, lo svantaggio degli stranieri è divenuto più ampio sia per gli occupati a tempo pieno sia per quelli a orario ridotto”. (Istat, Rapporto 2011, p.136).
**** Naletto, “Il razzismo istituzionale nel welfare”, in ““Cronache di ordinario razzismo”, a cura di Lunaria, Ed. dell’Asino 2011, p.33.
***** ivi, p.34.