A leggere i dati Eurostat sulle richieste di asilo in Europa registrate nell’ultimo decennio e pubblicati qualche giorno fa, è questa la prima cosa che salta agli occhi: l’invasione non c’è stata. L’unico flusso fuori scala e fuori misura è stato quello figlio di una delle più grandi crisi umanitarie del Dopoguerra, la guerra civile siriana. Una guerra alle porte dell’Europa. Il grafico dove abbiamo raccolto i dati è molto chiaro: c’è una dinamica di crescita con due anni di picco e poi un calo costante. Nei primi mesi del 2019, tra l’altro, i richiedenti asilo sono stati meno di 40mila. Si tratta dei mesi invernali, certo, ma anche nell’anno in corso, il numero di richiedenti asilo sembra destinato a scendere rispetto al 2018.
Ci sono altre cose che si evincono dai numeri Eurostat che varrà la pena di sottolineare per poi fare un discorso più generale relativo alla politica e alle imminenti elezioni europee. Si tratta dei dati relativi ad alcuni Paesi che abbiamo scelto perché ci paiono significativi.
Innanzitutto la Germania, che ha accolto numeri davvero imponenti e che nel 2019 continua a ricevere più del 50% delle domande di asilo presentate.
Poi c’è la Francia rimasta quasi non toccata dalla crisi siriana, che negli anni successivi vede un aumento dei flussi e l’Italia, che in controtendenza, vede i numeri più alti nel 2016 e 2017. Questi due Paesi, vivono dinamiche diverse rispetto a quella che è stata definita la “crisi dei rifugiati”, i migranti provengono soprattutto dall’Africa e, nel caso della Francia, passano anche molto per il confine di terra con l’Italia. Sull’Italia torneremo in seguito.
Infine l’Ungheria, che va segnalata per la presenza di un governo distintosi per la chiusura totale nei confronti dell’accoglienza. Le foto e i filmati degli anni in cui le carovane di siriani percorrevano la rotta baltica li ricordiamo tutti – neppure le guardie di confine serbe o montenegrine e croate si distinsero per umanità. Nella “democrazia illiberale” creata da Viktor Orban, i richiedenti asilo sono molti solo nel 2015. Prima e dopo il problema non si pone, ma il leader ungherese ha saputo usare quella crisi in maniera magistrale, garantendosi un consenso attorno alla paura dei suoi cittadini di fronte alla minaccia della sostituzione etnica o della perdita della cultura nazionale.
Altri dati importanti riguardano i riconoscimenti: chi ha avuto garantito il diritto di asilo ed è divenuto un rifugiato protetto dall’Europa?
I 28 Stati membri dell’Unione europea (UE) hanno concesso lo status di protezione a circa 330mila richiedenti asilo nel 2018, una diminuzione di quasi il 40% rispetto al 2017 (533 000). Oltre a questi, gli Stati membri dell’UE hanno ricevuto oltre 24 800 rifugiati reinsediati. A 163 800 persone è stato riconosciuto lo status di rifugiato (il 49% di tutte le decisioni positive), a 100 300 è stata concessa protezione sussidiaria (30%) e 69 300 persone hanno potuto rimanere in Europa per motivi umanitari (21%).
È importante guardare chi sono coloro che hanno ottenuto l’asilo: quasi 100mila sono ancora cittadini siriani, il 16% afghani e il 7% iracheni. Ovvero più della metà vengono ancora da Paesi che vivono forme di guerra o di persecuzione che conosciamo bene. Poi ci sono eritrei, sudanesi, nigeriani, iraniani, tutte persone provenienti da Paesi in cui conflitti e persecuzioni (magari locali, come in Nigeria) esistono eccome. Ma attenzione, per ciascuno di questi gruppi, tranne che per somali, eritrei e siriani, il tasso di riconoscimento dello status è sotto al 50% delle domande presentate. Che vuol dire che nessun Paese accoglie senza valutare e che, dunque, la retorica dell’invasione è sbagliata anche in questo senso: chi sbarca in Europa e richiede asilo non viene accolto a braccia aperte, come sostengono le forze populiste di destra che fanno del tema dell’immigrazione il loro cavallo di battaglia.
I rifugiati siriani sono soprattutto in Germania e non a caso il Paese guidato da Angela Merkel è quello che concede il 40% degli status sul totale europeo nel 2018. Dietro la Germania l’Italia (47 900) e la Francia (41 400). Anche questo è un dato che va sottolineato per due motivi: i due Paesi hanno ricevuto più persone che altri Stati membri, i toni muscolari dei rispettivi governi sono soprattutto propaganda. Se si aderisce alle convenzioni nazionali, poi, più o meno bisogna rispettarle e garantire il diritto di asilo. Altro discorso è relativo a come si garantisce quel diritto, le condizioni di vita a cui i richiedenti asilo sono costretti.
Asilo, accoglienza, hate speech, migrazioni, cittadinanza.
Cosa chiediamo all’Europa dopo il voto del 26 maggio.
Guarda la campagna lanciata da Lunaria
Torniamo all’Europa in generale. Le differenze tra Paesi sono significative e sono dettate dalla geografia. Nel 2019, il caos libico e gli accordi italiani con la Guardia costiera di quel Paese, hanno determinato flussi più copiosi verso la Spagna che già nel 2018 ha visto arrivare tre volte più richiedenti asilo rispetto al 2015, l’anno in cui il numero degli arrivi ha raggiunto il suo picco a livello europeo. E forse questo ha aiutato la retorica del partito nazionalista di destra Vox che è entrato per la prima volta nelle Cortes spagnole – ma ci sono anche altri fattori importanti, ad esempio la situazione della Catalogna. Il caso di Vox è utile per segnalare come ovunque i richiami alla crisi dei rifugiati abbiano aiutato la destra xenofoba. I risultati dei partiti populisti quasi coincidono con l’emergere della questione: la Lega in Italia cresce negli anni in cui crescono gli sbarchi così come le forze sorelle nei Paesi dell’est e nel Nord Europa. Poi, certo, l’abilità di queste forze politiche è stata mantenere il tema in agenda anche quando i numeri calavano.
I numeri Eurostat ci dicono anche che il sistema europeo è mal pensato e non funziona. Non è accettabile un divario tra i 4mila richiedenti asilo della Polonia nel 2018 e i quasi 60mila dell’Italia. O tra i 66mila della Grecia e 3500 dell’Irlanda (per comparare Paesi con popolazioni di dimensioni non distanti tra loro).
A proposito di Dublino e della retorica nazionalista. I dati del 2018 segnalano (lo faceva il Sole24Ore a gennaio) come l’Italia sia il Paese verso cui vengono rispediti più “dublinati”, ovvero richiedenti asilo in un Paese che non è quello nel quale hanno varcato le frontiere europee. Dalla Germania nel 2018 sono tornate in Italia 2707 persone. Questo perché la riforma del Regolamento di Dublino è stata bloccata e i ricollocamenti avvengono appunto sulla base di quel regolamento. Roma e Berlino stavano trattando un accordo bilaterale in materia ma il ministro degli Interni Salvini ha fatto saltare il tavolo. “Firmo solo se non c’è un immigrato in più in Italia”… sono tornati in Italia 2707 Dublinati, proprio a segnalare la distanza tra i toni muscolari da propaganda e il governo del Paese.
Proprio questi numeri chiamano a gran voce la necessità di un ripensamento del regolamento di Dublino. La bozza di riforma c’è ed è stata approvata dal Parlamento europeo. Ma sono i singoli Governi europei, nel Consiglio, ad averla bloccata.