01-09-2017, Milano(MI) - Lombardia
Un cittadino tunisino, residente in Lombardia dal 2015, chiede l’assegnazione di un alloggio ERP, ma il Comune di Milano archivia la domanda per mancanza del requisito della residenza protratta. L’uomo propone ricorso anti-discriminazione, di cui all’art. 44 D.lgs n.286/1998, con l’aiuto di Asgi, Cgil e Naga Onlus. I ricorrenti ritengono che il regolamento regionale del 4 agosto 2017, n. 4 (Disciplina della programmazione dell’offerta abitativa pubblica e sociale e dell’accesso e della permanenza nei servizi abitativi pubblici), nella parte in cui prevede il requisito della residenza (o attività lavorativa) quinquennale per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, costituisce una «discriminazione indiretta in danno degli stranieri, che godono del diritto alla parità di trattamento nell’accesso all’abitazione». Il Tribunale ordinario di Milano, con ordinanza del 22 gennaio 2019, r.g. n. 71, solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 1, lettera b), della legge n. 16/2016, Disciplina regionale dei servizi abitativi, emanata dalla Regione Lombardia. Tale disposizione stabilisce che «[i] beneficiari dei servizi abitativi pubblici devono avere i seguenti requisiti: […] b) residenza anagrafica o svolgimento di attività lavorativa in Regione Lombardia per almeno cinque anni nel periodo immediatamente precedente la data di presentazione della domanda». Secondo la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 44 del 28 gennaio 2020, è irragionevole negare l’accesso all’edilizia residenziale pubblica a chi, italiano o straniero, al momento della richiesta non sia residente o non abbia un lavoro nel territorio della Regione da almeno cinque anni. Questo requisito, infatti, non ha alcun nesso con la funzione del servizio pubblico in questione, che è quella di soddisfare l’esigenza abitativa di chi si trova in una situazione di effettivo bisogno. Secondo la Corte, il requisito della residenza protratta per più di cinque anni ai fini della concessione dell’alloggio non è sorretto da un’adeguata giustificazione sul piano costituzionale, sia perché quel dato non è, di per sé, indice di un’elevata probabilità di permanenza, sia perché lo stesso “radicamento” territoriale non può assumere un’importanza tale da escludere qualsiasi rilievo al dato del bisogno abitativo del richiedente. La durata della residenza sul territorio regionale potrebbe semmai rientrare tra gli elementi da valutare nella formazione della graduatoria. La Corte ha perciò ritenuto che la norma impugnata violi i principi di uguaglianza e di ragionevolezza, in quanto fonte di una discriminazione irragionevole in danno di chi, cittadino o straniero, non possieda il requisito richiesto. Ma la norma impugnata contrasta anche con il principio di uguaglianza sostanziale, perché il requisito temporale richiesto contraddice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica.
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