Gioielli, soldi e beni personali in cambio di assistenza. In un’Europa in cui si costruiscono muri tra i paesi, si spara sui migranti, si progettano centri di detenzione, si sollecitano le identificazioni legittimando l’uso della forza, l’ultima, terrificante misura che porta tutta la società europea indietro di anni arriva dalla Danimarca.
Il governo danese, presieduto dal primo ministro Lars Løkke Rasmussen del partito di centro-destra Venstre con l’appoggio del partito xenofobo Dansk Folkeparti, ha avanzato una proposta di legge che, se entrasse in vigore, autorizzerebbe la polizia a perquisire ogni migrante che entra nel paese. Sulla base di questo “controllo”, lo stato potrebbe confiscare i beni personali dei cittadini stranieri, con l’obiettivo di rivenderli e coprire così le spese sostenute dallo stato per l’assistenza ai migranti.
Stando a una nota ufficiale diramata dal Ministero dell’immigrazione, la confisca riguarderà “solo” somme e beni di valore considerevole, dalle 3.000 corone in su (circa 400 euro). Dalla requisizione saranno esclusi, in linea generale, orologi, telefoni cellulari e oggetti di importanza personale-sentimentale (ad esempio le fedi nuziali), “a meno che non ricoprano un alto valore commerciale”. Secondo le dichiarazioni del governo, la legge dovrebbe passare a gennaio, per essere effettivamente operativa da febbraio, e coinvolgerebbe anche i rifugiati già presenti nel paese (qui la comunicazione ufficiale).
Sono numerosi i commenti che paragonano la proposta danese alle confische compiute sotto il regime nazista. La misura appare spaventosa anche senza questo confronto -che comunque ci mette di fronte alla drammaticità del presente, molto vicino a un passato recente ma evidentemente già dimenticato. Il governo intanto rigetta le critiche: “Non capisco perché i media internazionali debbano infangare un’idea che prevede che i migranti paghino per beneficiare dell’accoglienza“, scrive sul proprio profilo Facebook la ministra dell’integrazione Inger Støjberg, suscitando diverse reazioni tra i cittadini danesi. Mentre alcuni sostengono l’operato del governo, infatti, altri affermano di vergognarsi, sottolineando che i diretti interessati di questa misura sono rifugiati che hanno abbandonato la propria terra a causa della guerra o di persecuzioni personali, e in quanto tali dovrebbero essere accolti, anziché sottoposti a pratiche umilianti.
Ma la linea del governo danese non sembra affatto volta all’accoglienza: da mesi Copenaghen ha inasprito le proprie politiche rispetto all’arrivo di migranti e richiedenti asilo. “Non venite in Danimarca”, recitava un messaggio fatto pubblicare a settembre dalle autorità danesi su quattro quotidiani libanesi, seguito dall’elenco di alcune misure implementate dal governo per scoraggiare l’arrivo di cittadini stranieri, tra cui un taglio del 50% dei benefici sociali previsti per i rifugiati. La stessa ministra Støjberg, in un post pubblicato il 9 dicembre scorso su Facebook, sottolineava come il crescente arrivo di migranti in Svezia fosse la conseguenza diretta delle politiche “indulgenti” messe in campo dal paese, aggiungendo che, al contrario, la sua “ambizione è limitare il numero dei richiedenti asilo in Danimarca”, motivo per cui annunciava “una serie di misure di austerità”, tra cui la riduzione della durata del permesso di soggiorno per rifugiati e la limitazione dei sussidi per i richiedenti asilo.
Secondo alcuni esperti, la misura proposta dal governo danese in realtà non andrebbe a impattare davvero né sulle casse dello stato, né nelle tasche dei migranti: semplicemente perché le persone che arrivano in Europa fuggendo dalle guerre e rischiando la propria vita non viaggiano con beni di particolare valore. La proposta consisterebbe piuttosto in un messaggio del governo. Della disumanità dello stesso, verrebbe da dire.
La nota ufficiale diffusa dal Ministero dell’immigrazione termina con questa osservazione: “Un numero troppo alto di rifugiati sta facendo pressione sulla società danese, rendendo sempre più difficile assicurare un buon livello di integrazione ”.
Il numero “troppo alto di rifugiati” che preme per entrare in Europa dovrebbe far riflettere a proposito degli enormi squilibri esistenti nel mondo: la fuga di molte persone dal proprio paese ne è diretta conseguenza. I rifugiati ci mettono di fronte al fatto che nella maggior parte del mondo la vita quotidiana delle persone è attraversata da violenze, bombe, persecuzioni: una situazione che abbiamo l’obbligo di non ignorare, proprio perché la nostra vita non è cadenzata dallo scoppio delle bombe, né siamo costretti, ad oggi, a intraprendere viaggi di fortuna abbandonando tutto.
Quanto dichiarato dal Ministero dell’immigrazione danese mostra invece la messa da parte di qualsiasi senso di umanità e solidarietà. E ci pone di fronte, ancora una volta, a un interrogativo: muri, barriere, polizia, filo spinato, requisizioni, detenzioni, rappresentano secondo i paesi europei strumenti utili per raggiungere un “buon livello di integrazione”?