Ennesima aggressione di stampo razzista. Ennesima violenza derubricata a banale fatto di cronaca nel nostro Paese. L’aggressione è avvenuta venerdì scorso, intorno alle 21.30, a Torino. A rendere nota la vicenda, sui social, è stata Ilda Curti, ex assessora comunale all’Integrazione, che lavora con la vittima a un progetto europeo. Ahmed, un giovane sudanese, un rifugiato fuggito dalle persecuzioni nel Darfur, sta seduto su una panchina davanti ad una chiesa, nel quartiere Mirafiori. Due uomini di mezza età, prima gli chiedono 50 centesimi e poi, visto che lui non li ha, gli puntano un coltello a serramanico alla gola e gli sguinzagliano contro anche un cane. Poi partono gli insulti razzisti e la domanda: “Perché sei qui, negro di m…?”. E dopo gli insulti, botte, pugni e calci a raffica. Ahmed riesce a pena ad alzarsi in piedi e a scappare, trovando rifugio in un vicino ristorante, la cascina Roccafranca, il centro di aggregazione del quartiere. I due aggressori lo seguono anche dentro al locale e cercano di prenderlo, rincorrendolo fra i tavoli. Uno dei due, visibilmente ubriaco, raggiunge Ahmed e continua a picchiarlo. Poi insultano e picchiano anche il titolare del ristorante e il cuoco, intervenuti a difesa della vittima.
Soltanto dopo che i due aggressori si dileguano, alcune persone soccorrono e accompagnano il ragazzo in ospedale, dove viene medicato e curato per le contusioni subite. I Carabinieri, intervenuti sul posto, poco dopo i fatti, individuano e fermano uno dei due presunti responsabili, R.M. di 51 anni, abitante nel quartiere. Le accuse nei suoi confronti sono di resistenza, violenza e oltraggio a pubblico ufficiale, come riferito sulle pagine locali di alcuni quotidiani. Il parroco spiega che “dovremo incontrarci nei prossimi giorni per cercare di capire come può rispondere la nostra comunità a quel che è accaduto. Devo dire che la vicenda ha sorpreso un po’ anche me. Non è questo il clima che si respirava fino ai giorni scorsi in questo quartiere. Quasi un fulmine a ciel sereno. Ma dovremo certamente fare i conti con quel che è successo”.
E pensare che Ahmed ha attraversato il deserto e il Mediterraneo, rischiando la vita, per sfuggire alle persecuzioni nel suo paese d’origine. Per approdare in un luogo sicuro…