“Il vostro made in Italy ha una macchia: il nostro sangue”. Questo quanto scritto su uno degli striscioni presenti il 13 gennaio a Roma, in piazza dell’Esquilino, alla manifestazione dei braccianti africani di Rosarno.
Lo striscione è sorretto da un uomo alto, di cui si scorge la testa: si chiama Mohammed, ha 30 anni e viene dal Gambia. E’ scappato dal suo Paese nel 2008, a seguito di problemi politici con il governo. Ha attraversato il Senegal, il Mali e l’Algeria, salendo su fino ad arrivare in Libia, dove ha preso un passaggio per Lampedusa: due giorni di mare.
Da Lampedusa è arrivato a Roma, precisamente a Castelnuovo di Porto, dove ha raccontato la sua storia davanti alla Commissione per richiedenti asilo. Esito: negativo. La sua domanda di asilo per motivi politici è stata rifiutata, con l’obbligo, per lui, di tornare in Gambia. Ma lui in Gambia non ci è tornato, dopo aver rischiato la vita pur di allontanarsene. E così è diventato irregolare, e ha iniziato a cercare lavoro. Ma senza documenti, non era facile trovarlo. Fino a quando gli hanno suggerito di andare nelle campagne del sud: lì, i documenti non servono, gli dicevano.
E’ così che Mohammed ha raggiunto i moltissimi africani già presenti a Rosarno, condividendone gli alloggi di fortuna, se così si possono chiamare le fabbriche abbandonate in cui i braccianti africani vivono, senza luce, gas né acqua. Ed è così che anche Mohammed ha iniziato a raccogliere arance, a volte anche limoni o pomodori, per 20 euro, per un orario di lavoro che andava dalle 9 alle 12 ore al giorno. Dopo la cosiddetta “rivolta” di Rosarno del 2010, scoppiata a seguito del ferimento di alcuni immigrati, colpiti dai proiettili sparati da un’auto in corsa, e finiti con gli africani allontanati dal paese calabrese sotto la scorta della polizia, Mohammed a Rosarno non ci vuole più tornare: “Sono scappato dalla Gambia perché avevo dei problemi legati al governo, non pensavo di trovare gli stessi problemi anche qui, di essere cacciato anche in Italia”. Come tanti altri africani scappati da Rosarno, ha ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di un anno. Questo nel 2010: ora, all’alba del 2012, Mohammed ha perso il lavoro, come tante altre persone, immigrate e italiane. Ed è tornato irregolare. Per questo reggeva lo striscione, insieme alle 300 persone, in prevalenza africani, presenti in piazza Esquilino: tutti provengono dalle campagne italiane, e tutti lavorano per pochi euro nella raccolta dei prodotti della terra, senza alcuna tutela né contratto. La rivolta di Rosarno non ha cambiato molto le cose: Mohammed si stupisce quando gli chiedo se nelle campagne calabresi ci sono ancora persone che lavorano e vivono in quelle condizioni. “Certo- mi risponde- nella stessa Rosarno sono ancora molte le persone senza documenti, che lavorano per 20 euro al giorno in condizioni disumane. Tutti lo sanno, tutti lo vedono, e nessuno fa niente.” E ora che c’è la crisi, che è facile perdere il lavoro e difficile trovarne un altro? “Ora sarà peggio- spiega- chi non ha un lavoro con contratto perde il documento, visto che, in base alla Bossi Fini, per avere un permesso di soggiorno si deve avere un lavoro contrattualizzato. I tanti che non riescono a trovarlo, diventeranno irregolari. E allora dove andranno? Dove non servono i documenti per lavorare”.
Serena Chiodo