Frontiera. Controlli. Emergenza. Cimitero.
Sempre più spesso, Mediterraneo e Lampedusa fanno il paio con queste parole.
Ci può essere un cambiamento? E’ la sfida e l’obiettivo della Carta di Lampedusa, il meeting euromediterraneo a cui prenderemo parte domani.
Per tre giorni, dal 31 gennaio al 2 febbraio, diverse realtà si incontreranno sull’isola che viene considerata la porta d’Europa, per scrivere insieme un documento condiviso. Associazioni, gruppi, enti, centri sociali, movimenti: insieme in una straordinaria esperienza di confronto e lavoro. Al centro, i diritti delle persone.
Non è la prima volta che Lampedusa diventa teatro di incontri: pochi mesi fa sull’isola si presentarono il premier Letta, il ministro dell’Interno Alfano, il presidente della Commissione Europea Barroso e il commissario europeo per gli Affari Interni Malmstrom. Era l’indomani di una terribile strage, quella del 3 ottobre, quando a poche miglia dall’isola morirono 368 persone.
Solo dopo questa strage, i rappresentanti istituzionali andarono sull’isola, accolti dalle lamentele degli abitanti che chiedevano di smetterla con le passerelle politiche e di non dimenticarsi di Lampedusa e di tutte le persone morte una volta passata l’ennesima “emergenza”.
La risposta istituzionale europea, al di là delle frasi retoriche, è stata quella di decidere un ulteriore aumento dei controlli, una maggiore militarizzazione e esternalizzazione delle frontiere e il rafforzamento dell’agenzia Frontex. Questo è ciò che è stato deciso nell’ultimo Consiglio Europeo del 24 e 25 ottobre scorsi.
In circa venticinque anni, sono state più di ventimila le persone che hanno perso la vita provando a raggiungere l’Europa. La risposta istituzionale è sempre stata la stessa, con un’attenzione evidente al controllo degli ingressi e non alla vita e al benessere degli individui.
A Lampedusa non si consuma un’emergenza: Lampedusa esemplifica molto bene l’ordinarietà di politiche nazionali ed europee di governo delle migrazioni e dell’asilo sbagliate.
Nel CPSA di Lampedusa i migranti sono stati sottoposti a pratiche che violano la loro dignità, esattamente come nei Cie presenti in tutto il territorio nazionale e nel resto d’Europa, o come nelle campagne dove sono sfruttati al limite dello schiavismo.
A Lampedusa, nonostante la crisi, i soldi sono stati spesi per un indegno centro di contenimento (ostinatamente chiamato centri di accoglienza) o per dispendiosi mezzi militari, mentre per avere una biblioteca la sindaca è stata costretta a lanciare un appello ai privati e i bambini, a causa del crollo del soffitto della scuola elementare, sono costretti a fare lezione sotto delle tende.
Il Mar Mediterraneo segna un confine – sempre più controllato – tra “noi e loro”: una dicotomia che si rivede in un‘Europa escludente, che divide sia fisicamente, attraverso la militarizzazione dei confini e l’innalzamento di muri e gabbie intorno ai Cie, sia economicamente e socialmente, con le politiche di austerity e gli stipendi al ribasso. Un’Europa in cui la soglia dei diritti si abbassa e le tutele vengono messe in gioco, prima per i migranti, poi per tutti i cittadini.
Le associazioni, moltissime ed eterogenee, faranno quello che la politica non è riuscita a fare: trasformeranno Lampedusa da luogo di confine a spazio centrale per l’avvio di un movimento unito, che possa costruire dal basso un orizzonte comune contro le pratiche di separazione. E non lo faranno chiudendosi in stanze private, ma lavorando insieme a chi da anni si occupa di diritti, ai migranti stessi e agli abitanti dell’isola.
Unità, diritti, inclusione, accoglienza: sono queste le parole d’ordine con cui ci incontreremo.
Vogliamo ripensare il Mediterraneo come ponte, e non come mortale barriera. Vogliamo promuovere nuovi diritti di cittadinanza più estesi e plurali. Vogliamo riscrivere la geografia di un’Europa più inclusiva, e con essa la mappa dei nostri diritti.
Sarà possibile seguire il meeting in diretta streaming sul sito www.meltingpot.org