“Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate”: con questa accusa, che chiama in causa l’articolo 290 del codice penale, Gianluca Dicandia, avvocato romano esperto di diritto dell’immigrazione e attivista della rete ‘Resistenza Meticce’, è stato denunciato dalle forze dell’ordine.
La denuncia segue l’identificazione subita dall’avvocato lo scorso 20 giugno, quando prese la parola durante un flash-mob in piazza del Pantheon, a Roma. Un’iniziativa promossa da Amnesty International in occasione della Giornata mondiale del rifugiato. L’intervento, di carattere tecnico, si focalizzava sui decreti Minniti-Orlando e sulle loro conseguenze, in particolare sulla vita dei cittadini stranieri presenti in Italia.
Al termine dell’intervento, l’avvocato era stato identificato dalle forze dell’ordine. Alcune persone avevano protestato, e anche loro erano state prontamente identificate (qui la cronaca di quanto successo il 20 giugno). A Riccardo Noury, portavoce di Amnesty, che chiedeva il motivo di tale misura, la polizia domandava se si dissociava dalle parole dell’avvocato, palesando il motivo dell’identificazione: le opinioni espresse da Gianluca Dicandia.
Oltre all’avvocato, anche tre persone identificate il 20 giugno sono state denunciate dalle forze di polizia per “violenza o minaccia alle forze dell’ordine” (articolo 336 del codice penale). I video girati e diffusi durante il flash mob non mostrano colluttazioni, violenze, né minacce, ma solo persone che chiedono il motivo alla base delle misure adottate dal Governo.
Quanto avvenuto il 20 giugno scorso era stato segnalato in Parlamento con due interrogazioni rivolte al ministro dell’Interno Marco Minniti, una a firma di Arturo Scotto (Mdp – Articolo 1) e una presentata da Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana). “Da quando esprimere un’opinione comporta l’identificazione da parte delle forze di polizia? E’ forse un reato criticare i provvedimenti adottati dal Governo a dal Parlamento in Italia? Da quando le forze dell’ordine hanno il mandato di chiedere pubblicamente di dissociarsi a persone su parole pronunciate da altri nel corso di iniziative pubbliche?”: queste alcune delle domande poste dall’on. Scotto nell’interrogazione (qui il testo).
“Dalle immagini disponibili emerge con chiarezza che in nessun modo le parole utilizzate dall’attivista possono integrare il reato di vilipendio, né sono individuabili altre espressioni costituenti reato; in un regime democratico, quale è quello instaurato dalla Costituzione repubblicana, sono ammesse critiche, anche severe, alle istituzioni e alle leggi”, sottolineava l’on. Fratoianni (Sinistra Italiana) nell’interrogazione (qui il testo).
Le due interrogazioni non hanno ancora avuto alcuna risposta.
“E’ un fatto estremamente grave”, dichiara il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury, che abbiamo raggiunto telefonicamente. “Il 20 giugno, non dissociandomi dalle dichiarazioni di Dicandia, sono stato a mia volta identificato – precisa, proseguendo – Nelle parole di Dicandia non ho ravveduto nulla che potesse rappresentare la configurazione di un reato. Ha espresso solo delle opinioni”.
Da parte nostra troviamo assai paradossale che accada un fatto di questo genere mentre, viceversa, “opinioni” intrise di xenofobia e di razzismo circolano liberamente in rete, in tv, alla radio e sui giornali proprio in virtù della garanzia della libertà di opinione.