Novantatré persone, tra le quali quarantuno bambini, sono sbarcate questa mattina all’aeroporto di Fiumicino. Non ci sarebbe nulla di strano: se non fosse che queste novantatré persone – ventiquattro famiglie – sono tutte di cittadinanza siriana, giunte in Italia senza – finalmente – dover attraversare il mare su mezzi di fortuna, senza dover camminare tra i muri e le barriere di filo spinato che dividono i paesi europei, in quella che sembra una gara alla disumanità. Sono infatti tutte arrivate con un regolare volo di linea partito da Beirut, in Libano – dove da tre anni vivono in campi autogestiti o in alloggi di fortuna, dopo essere scappate alla guerra che da cinque anni sta devastando il loro paese – e arrivato a Roma. Senza dover pagare alcun trafficante, senza dover mettere in pericolo la propria vita e quella dei propri familiari. E’ stato possibile grazie al corridoio umanitario organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alla Tavola valdese e alle Chiese evangeliche: un’iniziativa totalmente autofinanziata dalle organizzazioni, in particolare grazie all’8 per mille alla chiesa valdese. I richiedenti protezione internazionale verranno accolti in diverse strutture a Roma e nel Lazio, in Emilia Romagna, in Trentino e in Piemonte.
Oggi a Fiumicino ad attendere l’arrivo dei cittadini siriani -tra i quali una donna di 71 anni, accolta dal nipote residente in Svezia – era presente il ministro degli esteri Paolo Gentiloni e il sottosegretario Mario Giro. “Ci rendiamo conto che c’è bisogno di molto altro per accogliere le persone, ma questo è un progetto che sosteniamo e in cui crediamo. Continueremo a farlo”, ha sottolineato Giro, che ha mediato tra le organizzazioni e il ministero per la realizzazione del viaggio.
Continueremo a farlo, dichiara il sottosegretario: perché l’iniziativa non si ferma con questo primo arrivo. Sono mille le persone che dovrebbero raggiungere l’Italia attraverso questi canali, nell’arco dei prossimi due anni, con la partecipazione iniziale di Libano (600 persone) e Marocco (150 persone). Successivamente dovrebbe essere coinvolta anche l’Etiopia, per circa 250 persone (stando ai dati riportati dall’agenzia stampa Redattore Sociale).
C’è bisogno di molto altro, sostiene ancora Giro. E in effetti è così. L’iniziativa è importante e utile: ma non si può fare a meno di notare che la presenza istituzionale si riduce alle figure oggi presenti all’aeroporto. Senza un adeguato sostegno dei governi, i numeri di questa preziosa iniziativa rimarranno per forza di cosa limitati. E il progetto pilota rischia di non avere la forza necessaria per moltiplicarsi.
Il viaggio di oggi dimostra che i canali umanitari sono praticabili, contro le stragi in mare, le morti sotto i camion e le sopraffazioni ai confini che, normalizzate nella quotidianità europea, drammaticamente non fanno nemmeno più notizia. Gli sforzi istituzionali, europei come nazionali, dovrebbero essere volti non alla costruzione di muri e alla diffusione di pratiche di respingimento, bensì alla riproduzione di misure di protezione come quella che oggi ha permesso a novantatré persone di arrivare in modo sicuro e legale a Roma. E che, questa sì, dovrebbe essere considerata la norma.