I casi di razzismo nei confronti di cittadini cinesi, o anche di chi solo vagamente presenta dei “tratti asiatici”, si stanno diffondendo con un ritmo decisamente più veloce del propagarsi delle notizie stesse inerenti al Novel Coronavirus (2019-nCoV).
Due giorni fa, una giovane cittadina cinese, che stava viaggiando a bordo di un autobus tra Cuneo e Torino, sarebbe stata fatta scendere a terra da alcuni passeggeri in quanto “persona non gradita”. La ragazza, che non avrebbe padronanza delle lingua italiana, non ha sporto denuncia, ma ha riferito l’episodio alla comunità cinese di Torino. A raccontarlo, il sindaco, Chiara Appendino.
Ma la lista è lunga e si presenta con variegate sfumature di razzismo: dalle discriminazioni all’insulto gratuito, alla molestia razzista, sino alla violenza fisica.
Vi sono state palesi discriminazioni nell’accesso ai luoghi pubblici, come nel caso del bar «vietato ai cinesi» a pochi passi dalla Fontana di Trevi a Roma o della pizzeria in una strada di periferia di Forlì. E mentre i virologi continuano a ripetere che l’epidemia di Coronavirus non si trasmette attraverso il cibo, continuano a calare i clienti nei ristoranti cinesi, come documentato da diverse agenzie di stampa.
Così come vi sono stati atteggiamenti fobici da parte di alcune persone in luoghi pubblici. A Vicenza, in un pronto soccorso, nel modenese in un cinema, alcune madri di Milano (e non solo) che hanno chiesto attraverso i social media che i bambini fossero tenuti lontani dai compagni di classe cinesi. Ma vale la pena di citare anche il caso del Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, il cui direttore, Roberto Giuliani, con una circolare inviata ai docenti, ha deciso di sospendere le lezioni solo per gli studenti di origine cinese, giapponese e coreana finché non avessero superato una visita medica, una sorta di quarantena preventiva per evitare il contagio.
Ci sono poi stati i casi di Venezia e Firenze in cui alcuni turisti cinesi sono stati pesantemente aggrediti verbalmente. Nel primo caso, una coppia di turisti è stata inseguita e insultata, ricevendo anche degli sputi. Nel secondo caso, è diventato virale il video in cui un uomo insulta un’altra coppia di persone che passeggiano sull’Arno. Nel video si sentono le parole “Schifosi, sudici andate a tossire a casa vostra” e ancora “Ci infettate tutto, fate schifo, pezzi di merda”. Per non parlare degli insulti nei campi di calcio a dei piccoli atleti di origine cinese. E il recentissimo caso denunciato, sempre a Venezia, dalla cantante cinese Lika Bi: “Indossavo la mascherina anche se non ne ho alcun bisogno, cerco di mimetizzarmi e di non dare nell’occhio perché fondamentalmente ho paura. Un gruppo di ragazzi sui venti anni ha iniziato a insultarmi. Frasi irripetibili”, ha raccontato alla stampa.
E infine, si pensi al blitz razzista a opera del partito neofascista Forza Nuova che, a Como e a Brescia, ha agito attaccando dei volantini con scritto “Coronavirus? Compra italiano” alle vetrine di negozi cinesi.
E non sono mancate le bufale che circolano sul web o sui social network. Come nel caso dell’audio Whatsapp che ha fatto il giro dei cellulari, partito da una sedicente infermiera del Policlinico Umberto I di Roma, in cui affermava che vi erano ventisette casi di Coronavirus registrati in Italia. La notizia è stata smentita con un comunicato ufficiale della Regione Lazio in cui è stato riportato che la Direzione Sanitaria del Policlinico Umberto I smentisce la presenza di questi ventisette casi e che sporgerà denuncia per individuare i responsabili dell’audio.
O come nel più recente caso della presunta sassaiola contro un gruppo di studenti cinesi all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Frosinone, prima denunciata in una conferenza stampa, poi smentita e con conseguenze penali per chi ha diffuso la notizia.
La cosiddetta sinofobia è sbarcata persino sul noto social network TikTok. Andrea cittadino cinese è stato bombardato di insulti razzisti sul suo profilo e additato come “portatore del virus”. “Siete voi cinesi a diffondere il virus”, “In Italia gli immigrati non ci dovrebbero proprio essere”, “Siete voi che mangiate quegli animali portatori di virus” sono solo degli esempi di commenti che appaiono sotto i video del giovane.
Anche in Europa si moltiplicano i casi di intolleranza. Come riporta la CNN, le testate giornalistiche del mondo intero hanno contribuito all’ascesa della psicosi xenofoba, come ha fatto il giornale francese Courrier Picard, che in prima pagina ha riportato il titolo “Alerte Jaune” (allerta gialla, ndr), per poi scusarsi. In Australia, su diversi social media, sono circolati falsi annunci sull’importanza di evitare zone con “un’alta presenza di persone di origine cinese” e il quotidiano Herald Sun ha parlato di Coronavirus chiamandolo “Chinese Virus” (virus cinese, ndr).
Certamente una psicosi non nasce per caso: alcuni modus operandi la fomentano e la ingigantiscono. Resta evidente che quando si tratta di emergenze sanitarie di questo tipo, così delicate, l’informazione è importante, ma è altrettanto importante non trasformarla in un canale di sciacallaggio per il solo scopo di ottenere seguito. Le precauzioni indicate dalle istituzioni competenti vanno prese, così come è giusto essere informati in tempo reale su ciò che avviene. E benché sia necessario vigilare attentamente sulla situazione, non bisogna creare allarmismi inutili. Anche perché i toni e le parole che vengono utilizzati nella diffusione delle informazioni, nella maggior parte dei casi, pesano come pietre.
Sull’altro “fronte”, quello antirazzista, per fortuna, si moltiplicano le iniziative finalizzate proprio a contrastare questa ondata xenofoba immotivata e a ridurre la diffusione di pregiudizi. Oltre alle numerose iniziative di pasti condivisi con i cittadini cinesi o nei loro ristoranti, ad esempio, i cittadini francesi di origine cinese hanno dato il via a una campagna social “virale” su twitter con l’hashtag #Jenesuispasunvirus (non sono un virus, ndr). Mentre in Italia, un’opera della street artist Laika raffigura Sonia, la celebre ristoratrice cinese della Capitale. Il murale si trova proprio in Via Principe Amedeo (all’ingresso del mercato coperto di Piazza Vittorio) a Roma, non lontano dal ristorante “Hang Zhou” (da Sonia) appunto, e proprio nel cuore del quartiere dell’Esquilino. Un murale che ci permette di guardare un palmo più in là dell’odio, che pur “virale” e capillarmente diffuso, proprio come un virus, ha per fortuna ancora degli antidoti per combatterlo.