Lunedì 7 gennaio, presso la Scuola superiore di Polizia a Roma, si è svolto il tavolo tecnico voluto dal Ministro dell’Interno, dopo gli incidenti ed i cori razzisti contro il difensore del Napoli Kalidou Koulibaly (bersaglio costante di insulti razzisti anche quando ha giocato contro altre squadre in tutta Italia, tra cui Atalanta, Juventus, Lazio e per ultima l’Inter), che hanno caratterizzato la partita di Serie A tra Inter e Napoli del 26 dicembre scorso.
Oltre al Ministro, hanno partecipato all’incontro il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo Sport, Giancarlo Giorgetti, il Capo della Polizia, Franco Gabrielli, insieme al presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle manifestazioni sportive, il presidente del CONI, il presidente della FIGC, i vice presidenti federali, i presidenti della Lega Serie B e della Lega Pro, i rappresentanti dell’Associazione Italiana Calciatori, e dell’Assoallenatori.
Nel comunicato ufficiale diffuso dalla Federcalcio, si parla di incontro “proficuo” nel quale sono stati “individuati percorsi comuni e specifici” per contrastare i fenomeni della violenza e del razzismo negli stadi italiani. Nella realtà, le questioni più importanti sono rimaste inevase. Nella lista dei provvedimenti annunciati dal Ministro per garantire l’ordine pubblico, dentro e fuori dagli stadi, vi è la netta volontà di aprire un dialogo con le tifoserie.
E un punto resta di una gravità estrema: la scelta di non sospendere le partite in presenza di cori razzisti o discriminatori. Un tema attualissimo e di difficile gestione per il calcio italiano ed europeo, ma evidentemente ritenuto non prioritario dalla politica.
Questo no alla sospensione delle partite in caso di razzismo contrasta, però, con le normative sportive vigenti (oltre che in aperto contrasto con quelle del network FARE che da anni collabora con l’Uefa per combattere il razzismo). I codici di Figc, Uefa (nel 2013) e Fifa (nel 2017) lo prevedono e il calcio italiano era pronto a snellire le procedure facendo scendere da tre a due i richiami prima dello stop con i giocatori portati al centro del campo.
Invece, secondo il ministro dell’Interno, nel caso di cori razzisti all’interno di uno stadio, la partita deve comunque continuare, nessun settore deve essere chiuso per gli incontri successivi, i tifosi organizzati potranno continuare a seguire la loro squadra in trasferta.
Carlo Ancelotti, allenatore del Napoli, controcorrente e “ribelle”, ha detto con fermezza e decisione di ritirare la sua squadra dal campo di gioco, se questo tipo di abuso dovesse ripetersi, anche in assenza di una sospensione da parte dell’arbitro. Sulle posizioni dell’allenatore e della squadra è netto il sostegno del presidente Aurelio De Laurentiis. Anche la Fifa ha ribadito che: “qualsiasi forma di razzismo e discriminazione all’interno o all’esterno del campo è totalmente inaccettabile e non ha posto nel calcio, bisogna rispettare il protocollo”. La Uefa lo ha messo nero su bianco nel comunicato dopo Inter-Napoli. La Fifa, contrariamente a quanto affermato dal Ministro dell’Interno, lo ha ribadito e assegna all’arbitro un ruolo decisivo: sempre l’arbitro a interrompere le partite, è l’arbitro a invitare i giocatori a rientrare temporaneamente negli spogliatoi ed è sempre l’arbitro a decidere la sospensione della partita. In Italia, non è così. E troppo spesso è accaduto che le pene inflitte dalle autorità calcistiche italiane si sono rivelate deboli e inefficaci a contrastare realmente il fenomeno del razzismo.
Affrontare il razzismo negli stadi, come fenomeno trasversale e a tutto tondo, dovrebbe essere una priorità per il nuovo corso della FIGC in questo 2019. E invece si aprono gli stadi al razzismo e si chiudono i porti agli esseri umani.