Ancora un fatto orribile. Ancora un corpo senza vita al confine italo-francese. Ancora tanto silenzio e tanta rabbia. Non sono ancora sfumate le polemiche sul decesso della giovane nigeriana di 20 anni, annegata nella diga di Durance, che torniamo ancora ad associare frontiera e morte.
La stampa francese ne ha dato notizia già circa una settimana fa, quando annunciava il ritrovamento in un bosco di un cadavere appartenente ad un giovane uomo nero, sempre nei pressi di Montgenèvre, non molto lontano da Briançon.
La macabra scoperta è stata fatta da un gruppo di escursionisti nel primo pomeriggio del 18 maggio. Il sindaco cosi come tutta la comunità di Briançon è sotto choc e cominciano a dar ragione a chi gridava al pericolo e allertava su quanto stava cominciando a succedere al confine. La polizia francese apre le indagini (in applicazione del dell’art.74 del codice di procedura penale) per identificare il giovane.
A distanza di giorni, si risveglia anche la stampa italiana. Da ieri, su alcuni sparuti quotidiani circola l’informazione che quel corpo apparteneva ad un giovane senegalese, Mamadou.
Lui, insieme a suo cugino Ibrahim, ancora minorenne, era partito dall’Italia la settimana scorsa e aveva vagato per tre giorni e tre notti intere sulle montagne, prima di cedere le armi (e la sua vita) alla frontiera. Non era la prima volta che tentavano di valicare la frontiera, ma questa volta, anziché essere riportati indietro, si sono persi e tutto è andato storto.
Le informazioni giungono come sempre dagli attivisti di Tous Migrant e di Briser les Frontières. “Da mesi gli abitanti della regione di Briançon si sono mobilitati per accogliere le persone degnamente e per cercare di evitare i drammi. Ogni notte, solidali, braccati anche dalla polizia, hanno vigilato e portato soccorso agli esuli in difficoltà nella neve e nel freddo, per fare in modo che le Alpi non diventino un cimitero a cielo aperto – si legge in un comunicato diffuso da Tous Migrant – Già due drammi di troppo dallo scioglimento delle nevi, due drammi che non sono incidenti, ma la conseguenza di una politica suicida”.
Il destino beffardo ha voluto che Ibrahim si salvasse, ma è ancora in stato di shock ricoverato in ospedale. E chissà ancora per quanto tempo si porterà dentro questi traumi.
Mamadou, non ancora ufficialmente identificato e riconosciuto, è morto per sfinimento, freddo, fame e per la fatica. 18 maggio 2018.