Sono tornati a scioperare ieri, in tutta Italia, per 24 ore. E’ la lotta dei cosiddetti “conferiti”: persone addette alla logistica e al trasporto delle grandi aziende ma assunti dalle cooperative. Molto spesso sono persone straniere, anche se in Italia da una vita. E, ormai, alcuni di loro sono diventati i punti di riferimento per una lotta che non è antirazzista, ma prima di tutto operaia: rivendicano salari migliori, un comportamento lineare e trasparente da parte delle cooperative che li assumono ma anche delle grandi aziende che si servono di questi subappalti. Chiedono che venga riconosciuto loro un contratto nazionale. E, certo, sanno benissimo e lo denunciano che dietro al comportamento spesso umiliante loro riservato, c’è anche una buona dose di razzismo e inferiorizzazione del lavoratore straniero. Che, come dire, se lavora deve già ringraziare. Altrimenti: lo strappiamo il permesso di soggiorno? Viene da dire, ricordando una divertente interpretazione di Caterina Guzzanti. Il ricatto della regolarità in Italia legata al lavoro, qualunque esso sia, è insomma sempre dietro l’angolo.
Tanto più in settori come quello della logistica e del trasporto che praticamente rappresentano il “cuore nascosto” dell’intero sistema di produzione di qualsiasi comparto. Dall’alimentare al mobilio – coinvolta la “mitica” Ikea, che ha mostrato un volto molto poco sociale, in questo caso – non esiste un settore che non abbia, come premessa, qualche lavoratore che scarica le cose e qualcun altro che le porta a destinazione. Nella fumosa era della finanza immateriale, le merci impongono la loro fisicità. E chiamano corpi di lavoratori che si svegliano alle quattro, cinque di mattina, scaricano chili di cose, si ritrovano negli immensi magazzini di stoccaggio.
Ed è così che è nata una battaglia che ormai è diventata nazionale e comincia ad avere delle richieste unitarie. Quei lavoratori hanno cominciato a vedere che ciascuno di loro lavorava per una cooperativa diversa. Che chi protestava per quei salari da fame – 7,90 euro lordi all’ora – veniva lasciato a casa con la scusa che non c’era lavoro, “ma poi gli altri facevano gli straordinari”, hanno sempre denunciato i sindacalisti. Una minaccia, e una punizione. Ma non succedeva solo questo, perché il mondo delle cooperative sta disegnando nuovi spazi di sfruttamento e arricchimento illecito per qualcuno: a volte queste cooperative nascono, si aggiudicano appalti con grandi aziende, i capi si spartiscono i guadagni e poi spariscono in una notte.
Questa storia della sparizione in una notte non è una leggenda metropolitana: è noto nel settore quel che è accaduto a Modena dove due cooperative – la Fruit Logistic e la Ggroup – sono letteralmente scomparse dalla sera alla mattina. La sera prima c’erano gli uffici, gli addetti, gli amministrativi. La mattina dopo non c’era più nessuno.
Una situazione di completa illegalità che, scrive il sito Terrelibere.org che a lungo si è occupato della questione del caporalato osservando da vicino la storia di Rosarno “sempre più assume le caratteristiche dello sfruttamento del lavoro in agricoltura”.
Solo che qui parliamo di migliaia di lavoratori, soprattutto concentrati al nord che lavorano per grosse aziende da Ikea, alla Coop, alla Granarolo. Tutti i grandi marchi si servono dei subappalti e non si preoccupano di quali siano le condizioni dei lavoratori, nonostante aziende come Ikea abbiano anche adottato dei codici comportamentali che garantiscono come i prezzi bassi non siano legati allo sfruttamento dei lavoratori.
Ma aldilà delle ottime intenzioni, quando la lunga catena si perde in cooperative e micro-cooperative è molto difficile vigilare. Nel caso di Ikea i lavoratori del polo di Piacenza, che è uno dei più grandi magazzini europei, protestano da settembre, e a ottobre, durante uno sciopero in cui sono anche stati bloccati gli accessi, ci sono stati pesanti scontri con le forze dell’ordine che hanno causato cinque feriti tra i lavoratori.
La richiesta dei lavoratori è che Ikea assuma direttamente le persone, e non si affidi a dei subappalti che – ormai è conclamato – hanno tutte le caratteristiche dello sfruttamento. A questo proposito è stata anche lanciata una campagna di pressione su Change.org (http://www.change.org/ikeassumi) e da ieri il sito Terrelibere.org in occasione dello sciopero ha lanciato una “twitter bombing”. Tutti sono invitati a inviare via Twitter questo messaggio a Ikea, in modo che l’azienda prenda in considerazione le 12 mila firme già raccolte dall’appello: «@IKEAITALIA, assumi direttamente i lavoratori-migranti di Piacenza http://change.org/ikeassumi #ikeassumi via @ChangeItalia» .