Si è chiusa ieri, con la conferenza stampa del premier Giuseppe Conte e dell’inviato dell’Onu Ghassan Salamè, la Conferenza Internazionale sulla Libia, convocata a Palermo il 12 e 13 novembre e organizzata dall’Italia. Numerose, e forse troppe, le defezioni, molte le difficoltà, nessuna “dichiarazione finale” firmata e condivisa dai partecipanti.
Salamé ha confermato la road map dell’Onu: Palermo è “servita” per convocare una nuova conferenza in Libia agli inizi del 2019 e poter arrivare a elezioni in primavera. Ma al di là delle mere dichiarazioni ufficiali, restano le distanze e le rivalità tra tutti gli interlocutori in campo. L’attenzione dei media si è incentrata non tanto sui contenuti (pochi nel concreto), quanto piuttosto sulle passerelle dei vari protagonisti al summit.
L’Italia, pur di organizzare almeno un incontro allargato con il generale Haftar, ha accettato di escludere dalla riunione del mattino Turchia e Qatar, ovvero i due avversari dichiarati del generale. C’erano i capi di governo e di Stato “del Mediterraneo” (il presidente egiziano Al-Sisi, il tunisino Essebsi, il premier russo Medvedev e altri) assieme ad Haftar e al presidente libico Fayez Serraj.
Ma come previsto, il generale libico Khalifa Haftar ha lasciato Palermo ugualmente in anticipo sulla fine dei lavori. “Siamo sempre in stato di guerra e il Paese ha bisogno di controllare le proprie frontiere. Abbiamo frontiere con la Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, Sudan ed Egitto e la migrazione illegale viene da tutte le parti” ha dichiarato Haftar.
Un paio d’ore più tardi, anche la delegazione turca ha deciso di lasciare in anticipo Palermo. La Turchia ha abbandonato la Conferenza “con profondo disappunto” per non essere stata coinvolta nella riunione informale del mattino con al Serraj e Haftar. “Non si può pensare di risolvere la crisi in Libia coinvolgendo le persone che l’hanno causata ed escludendo la Turchia”, ha detto il vicepresidente turco.
Ma mentre i “potenti” erano riuniti a Palermo, si sono tenute una serie di contro-iniziative: le voci della contro-narrazione di quanto accade realmente in Libia, l’altra faccia della medaglia, testimonianze preziose e quanto mai necessarie. Nelle stesse ore in cui si svolgeva il summit, nel centro storico di Palermo, sfilava un corteo di protesta organizzato dal Forum antirazzista di Palermo insieme ai centri sociali e a diverse realtà della sinistra palermitana. Circa 500 persone partecipanti, con il cordone di polizia che ha seguito i manifestanti durate il tragitto. Un corteo pacifico che ha gridato no ai signori della guerra che si sono riuniti a Palermo (gli stessi che hanno provocato la guerra in Libia, ndr), contestando il generale Al Sisi e invocando verità sulla morte di Giulio Regeni, il cui nome era scritto nello striscione in testa al corteo. “Interferenza sulla Libia” è stato anche un vero e proprio controvertice, organizzato dal Forum Antirazzista locale: un’occasione per (contro)informarsi sulla situazione nordafricana, “per confrontarsi con chi quel Paese lo conosce bene e con chi ha lavorato nell’ambito della salvaguardia dei diritti umani dei migranti che transitano dalla Libia per raggiungere le coste d’Europa”.
A Roma, poi, si è tenuta una conferenza stampa promossa da Arci, Asgi e Amnesty Italia per discutere di cosa sta accadendo davvero in Libia, proprio dopo l’accordo stretto dal governo in tema di flussi migratori. Questo per riportare all’attenzione dell’opinione pubblica sugli “gli effetti disastrosi di quell’accordo per i diritti dei migranti. I respingimenti verso la Libia hanno prodotto una drastica riduzione degli sbarchi, reso sempre più pericoloso cercare di raggiungere le nostre coste, aumentato in modo esponenziale le vittime dei naufragi in quel tratto di mare in cui le navi delle Ong non possono più svolgere l’attività dio ricerca e soccorso”, dicono gli organizzatori in una nota. Alla Conferenza stampa è intervenuto anche Karim Salem, ricercatore presso il Cairo Institute for Human Rights Studies e rappresentante della Libya Platform, una coalizione di quindici associazioni libiche. Insieme a lui, Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, Giulia Crescini dell’Asgi, Paolo Pezzati, AOI, Erasmo Palazzotto, deputato di SI, imbarcato sulla Mare Jonio per la missione Mediterranea.
Amnesty Italia ha diffuso, inoltre, il report ‘Libya: EU’s patchwork policy has failed to protect the human rights of refugees and migrants’ a un anno dalla diffusione di filmati scioccanti di migranti venduti come merce in Libia, che ha spinto a riflettere sulla politica migratoria dell’UE, con delle conclusioni circa la situazione attuale.
Ma al di là della Libia, anche l’Italia, dal canto suo, ha una responsabilità particolare, che si affianca a quelle storiche: aver tentato di esternalizzare le proprie frontiere, organizzando e finanziando i libici, per rendere impossibile l’attraversamento del Mediterraneo da parte dei migranti, che restano reclusi in quel paese in condizioni terribili. All’interno dei centri di detenzione libici, i migranti e i rifugiati rischiano regolarmente di subire torture, estorsioni e stupri. Mentre la rotta marittima del Mediterraneo centrale è quasi completamente chiusa e le autorità libiche mettono illegalmente in carcere i rifugiati, rifiutando di rilasciarli sotto la protezione dell’Unhcr, l’unico modo per uscire dai centri di prigionia è l’evacuazione verso un altro paese attraverso i programmi gestiti dalle Nazioni Unite.
Fatti concreti e violazioni costanti che non sono stati assolutamente sfiorati nel vertice di Palermo.