Giunge oggi la condanna di Roberto Calderoli, dopo più di 5 anni, a causa delle difficoltà incontrate dal tribunale di Bergamo nel procedere contro di lui. «Ogni tanto smanettando con Internet, apro “il governo italiano”, e c…. cosa mi viene fuori? La Kyenge. Io resto secco. Io sono anche un amante degli animali eh, per l’amor del cielo. Ho avuto le tigri, gli orsi, le scimmie, e tutto il resto. I lupi anche c’ho avuto. Però quando vedo uscire delle – non dico che – delle sembianze di oranghi io resto ancora».
Questa la frase incriminata, pronunciata nel corso di un comizio a Treviglio, nel luglio del 2013, da parte dell’On. Roberto Calderoli, Lega Nord. Il senatore leghista si era rivolto con disprezzo e razzismo malcelato nei confronti dell’allora ministro alle Pari opportunità, Cécile Kyenge. Viste le polemiche scatenate dalla frase, Calderoli si era difeso affermando che la sua era soltanto “una battuta simpatica”.
La richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti era stata approvata per il reato di “diffamazione”, ma respinta per quel che riguardava l’aggravante “razziale”, da parte del Senato, che aveva difeso strenuamente Calderoli, sostenendo che le sue erano opinioni «espresse da un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni», e quindi “insindacabili” (già a suo tempo noi avevamo espresso molta preoccupazione nella legittimazione di tali parole). Tuttavia il tribunale di Bergamo ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale che, nel marzo 2018, ha stabilito che le opinioni espresse da Calderoli non avevano “alcun nesso funzionale con l’esercizio dell’attività parlamentare”. E la prerogativa dell’insindacabilità “non poteva essere estesa sino a ricomprendere gli insulti”. Oltretutto, il Senato si era espresso “sulla qualificazione giuridica del fatto storico, invadendo così un campo costituzionalmente riservato al potere giudiziario” (ne avevamo scritto qui).
Roberto Calderoli è stato condannato in primo grado, oggi, a 1 anno e 6 mesi di carcere (pena sospesa) per diffamazione con l’aggravante dell’odio “razziale” nei confronti di Cecile Kyenge.
«Abbiamo vinto un’altra volta», ha scritto felice su Facebook Cecile Kyenge, oggi europarlamentare del PD.
“E’ una sentenza incoraggiante per tutti quelli che si battono contro il razzismo. Perciò esprimo la mia soddisfazione per questa vicenda: non solo per questioni personali, ma anche perché la decisione del Tribunale di Bergamo conferma che il razzismo si può e si deve combattere per vie legali, oltre che civili, civiche e politiche”, scrive ancora la Kyenge.
Visto che l’ex ministra non si è costituita parte civile, non saranno previsti risarcimenti di natura economica. Ma «il razzismo la paga cara». Comunque.