Ampliamento del sistema Cie, apertura di Hotspots la cui natura giuridica è ancora pericolosamente confusa, un dibattito pubblico incentrato sul pregiudizio a favore della propaganda politica: a un anno dalla diffusione del precedente rapporto sui Cie, la situazione fotografata dalla Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani nel Rapporto sui Centri di Identificazione ed Espulsione in Italia presentato oggi, 17 febbraio, appare preoccupante e in via di peggioramento. Un lavoro che monitora la situazione presente nei Cie e analizza le novità introdotte a livello legislativo e procedurale, in particolare in seguito all’adozione da parte degli stati membri, nel maggio 2015, dell’Agenda europea sulle migrazioni in materia di identificazione, trattenimento ed espulsione. Ed è proprio in riferimento all’Agenda, e alle misure in essa contenute e ad oggi sollecitate dall’Unione Europea, che la Commissione del Senato ravvisa peggioramenti e nodi problematici.
Sistema Cie: dalla previsione di smantellamento all’aumento delle strutture detentive
“Sembrava un sistema destinato a esaurirsi. Invece, ora si ripropone in altre forme”. Così il Senatore e presidente della Commissione Luigi Manconi, segnalando un arretramento rispetto al processo di smantellamento che, dalla riduzione dei tempi di trattenimento alla chiusura di alcune strutture, sembrava essere in corso. La situazione attuale evidenzia purtroppo una realtà differente: i Cie di Brindisi e Crotone -si legge nel rapporto- sono stati riaperti dopo alcuni anni di chiusura, mentre il governo sta ipotizzando la riapertura dei Cie di Milano e Gradisca d’Isonzo, di pari passo con la previsione dell’aumento dei posti in tutte le strutture diffuse sul territorio nazionale. Tutte misure che risponderebbero alla sollecitazione arrivata dalla Commissione europea di organizzare “una politica di rimpatrio efficace”, contrastata da ciò che l’Europa individua come “alcune difficoltà oggettive che ostacolano le procedure”, tra cui, appunto, una bassa disponibilità di posti nei Cie.
In effetti, l’inefficacia del sistema Cie nell’eseguire i rimpatri è ormai evidente, come sottolinea la stessa Commissione che, insieme a diversi dossier e denunce presentate da associazioni e ong, da tempo sottolinea la natura puramente simbolica dei Centri di identificazione ed espulsione, mantenuti, come sottolineava Manconi già l’anno scorso, in chiave meramente intimidatoria. Dal 1 gennaio al 20 dicembre 2015 sono transitate complessivamente nei Cie 5.242 persone, di cui 2.746, il 52%, effettivamente rimpatriate. Dati che mostrano l’inefficacia di queste strutture, ma non la condizione che si vive al loro interno: indegna e inumana, come confermato dal Senatore Manconi, che parla di “luoghi orribili, in cui si verificano con frequenza -parola scientemente ripetuta dal presidente di Commissione – violazioni dei diritti fondamentali della persona”.
Hotspots
Ma l’Agenda europea non punta “solo” sul rafforzamento delle strutture detentive già presenti. Sono infatti gli hotspots i centri su cui l’Unione sta sollecitando i paesi di ingresso, Grecia e Italia in primis. Luoghi già presenti sul nostro territorio, la cui natura è però tutt’altro che chiara: sono luoghi di detenzione? No, stando alla teoria. Si, guardando alla pratica. Secondo quanto riportato durante la presentazione dal viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, negli hotspots le persone dovrebbero ricevere i primi aiuti sanitari e informazioni sui loro diritti. “Servizi” garantiti dalla presenza di organizzazioni internazionali, sempre secondo il viceministro, che a una nostra esplicita domanda, afferma di trovare ragionevole che non venga consentito l’accesso alle associazioni della società civile: secondo Bubbico gli strumenti di verifica già esisterebbero, e la presenza operativa di organizzazioni internazionali garantirebbe i controlli, senza la necessità di ulteriori “presenze osservative”.
Ma la funzione degli hotspot non è quella di garantire la primissima accoglienza, bensì la divisione in richiedenti asilo e non: qui le persone dovrebbero essere identificate- anche con l’uso della forza se necessario, come sottolineato dalla Commissione europea -, per poi essere registrate o meno come richiedenti asilo. Il tutto nel giro di qualche ora – in teoria- e con l’obbligo del migrante di non uscire dalla struttura. Nella pratica anche il viceministro Bubbico intravede alcune criticità: prima fra tutte “il mancato equilibrio tra le condizioni psicofisiche in cui i migranti si trovano e l’onerosità delle pratiche e degli adempimenti burocratici da compiere. Molte persone – sottolinea Bubbico – non riescono a esprimersi se non nella propria lingua, altri non sono consapevoli dei propri diritti”. L’assenza di formazione tra gli operatori all’interno degli hotspots, tanto in materia linguistica e di mediazione, quanto in relazione ai vissuti traumatici della maggioranza dei migranti, da una parte rallenta lo svolgimento delle pratiche burocratiche, e dall’altra pone i migranti in condizioni di forte vulnerabilità. Chi, al termine di un viaggio sfiancante e spesso violento, si troverà ammassato in strutture chiuse e recintate, dovrà di fatto avere la prontezza di rispondere, alla domanda sul motivo del viaggio, con una richiesta di protezione. In caso contrario -dovuto magari a un’incomprensione linguistica, oppure a vissuti traumatici legati a forze dell’ordine e militari nel proprio paese, o ancora a semplice ingenuità – riceverà l’ordine differito del Questore di lasciare il territorio nazionale. Esattamente quello che succede nell’hotspot di Lampedusa, come denunciato dalla Commissione nel Rapporto, dopo una visita effettuata a gennaio scorso, a seguito della quale si segnala “una pre-identificazione che risulta essere un esame sommario e superficiale che non coinvolge operatori umanitari e che non tutela pienamente il diritto a chiedere un’eventuale protezione internazionale”.
Pratiche, queste, sommarie, arbitrarie, disumane e lesive del diritto all’autodeterminazione della propria vita, che risultano anche controproducenti: il Rapporto denuncia infatti l’aumento delle situazioni di irregolarità proprio in concomitanza con l’apertura degli hotspots: “l’unico risultato tangibile è l’aumento di stranieri con in mano un decreto di respingimento differito del Questore che intima di lasciare il nostro paese entro sette giorni, persone che di fatto rimangono poi nel territorio italiano irregolarmente”. Si presenta dunque il serio rischio che queste strutture non diventino altro che nuovi Cie, con un nome diverso. Un pericolo tutt’altro che lontano: il Cie di Trapani, attivo fino al 31 dicembre 2015, dal 1 gennaio 2016 è stato convertito in hotspot – e la Commissione ha annunciato una prossima visita proprio in questa struttura.
Un dibattito politico incentrato sulla retorica
C’è poi un altro aspetto evidenziato dalla Commissione durante la presentazione del Rapporto: di fronte a un fenomeno, quello migratorio, che da tempo non presenta più alcun carattere emergenziale, la risposta politica, scarsa in termini di strutturazione, risulta piuttosto volta a alimentare pregiudizi funzionali a una retorica propagandistica. In questo binario il viceministro inscrive l’annuncio del governo austriaco a proposito della costruzione di un muro al valico del Brennero: una dichiarazione evidentemente ispirata dalla vicinanza delle elezioni in Austria e dalla connessa ricerca di consensi, secondo Bubbico, il quale denuncia come “un’Europa regolata dal calendario delle elezioni, è un’Europa che non esiste”.
Ma il problema della strumentalizzazione politica dei migranti riguarda anche l’Italia (e purtroppo non è cosa nuova). In particolare, Manconi ha definito la recente mancata abrogazione del reato di ingresso e soggiorno irregolare “un errore, un atto di grave pavidità politica”, con cui il governo ha perso una preziosa occasione di ridurre la miopia della politica e abbandonare i pregiudizi ideologici a favore di miglioramenti e passi in avanti. Cambiamenti che, oltre a risultare doverosi in termini di rispetto reciproco, riconoscimento dell’altro e arricchimento umano e culturale, favorirebbero l’Europa da un punto di vista anche economico, e in particolare l’Italia, “un paese anziano, poco vitale e scarsamente produttivo” come ha ricordato il presidente di Commissione, aggiungendo: “Con un totale esaurimento di qualsiasi possibilità di accesso legale in Italia delle persone che non vogliono o non possono chiedere asilo, e con una forte politica di esclusione sociale, l’Italia non risulta più essere un paese appetibile, se non in ragione della sua posizione geografica”. Anche per questo è necessario costruire il consenso su una politica che sia matura, consapevole e capace di garantire diritti: altrimenti non solo l’Italia si macchierà di continue e pesanti violazioni dei diritti umani, ma continuerà a stagnare nei problemi economici e demografici che ormai da tempo gravano sul nostro paese.
Serena Chiodo